Capitolo XIX

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Capitolo XIX
Cassetta n.5 (pt.2)

-Non voglio mentirti, Louis, ma, per tutto quel tempo, non avevo mai voluto abbandonare quella casa. Non perché mi piacesse stare lì, perché era ovvio non fosse così, ma perché mi vergognavo. Pensare che fuori vivevano persone normali, con una vita normale, mentre io dovevo fare quello per essere sicuro di poter vivere qualche giorno in più, mi faceva sentire così sporco.
Il fatto è che loro mi dicevano che non c'era niente da vergognarsi, ma io sapevo che, infondo, qualcosa di cui vergognarsi c'era. Un giorno, infatti...

-Andremo dal dottore per fare una visita- spiegò Mark mentre se lo caricò in auto.
-Non provare a parlare e, soprattutto, non chiedere aiuto- gli allacciò la cintura e salì nell'auto, chiudendo con la sicura.
Ma anche se non avesse chiuso, Harry non avrebbe avuto la forza di provare a scappare. Era troppo debole per quello.
Quando arrivarono in ospedale, il riccio entrò a passi lenti, sentendo le mani di Mark spingerlo nell'edificio.
-Tuo padre sarebbe così deluso- borbottò l'uomo -Così deluso. Sei così gracile. Sembri un bambino- lo spinse un po' più forte, facendo barcollare Harry.
-Se cadi, a casa avrai il resto- il riccio continuò a guardare davanti a sé, finché non arrivò nella sala visite.

-Styles- disse piano, e il medico gli indicò un lettino. Anche quel semplice indicare gli fece intendere che lui sapeva. Allora perché non lo aiutava?
Arrivò dove gli era stato indicato, arrampicandosi e sentendo le braccia tremare quando fece forza per sedersi sopra il letto, che era abbastanza alto.
-Spogliati- Harry lo fece senza pensarci. Era abituato a quello. Si tolse la maglietta e i pantaloni, rimanendo con delle mutande nere.
-Sei tutto ossa, ragazzo- il medico controllò il suo battito cardiaco; gli estrasse del sangue e lo analizzò.
-Non hai alcuna malattia- disse -Ma sei troppo gracile. Devi mangiare- il riccio abbassò gli occhi.
-Perché non mangi?- Harry alzò le spalle.
-Non sai parlare?- chiese il medico.
-So parlare- disse, guardandosi i piedi -Non ho fame- spiegò.
-Perché non hai fame?- Harry iniziò a muovere le gambe, osservando il movimento ondulatorio dei suoi arti.
-Perché sono per lo più stanco- il medico poggiò le mani sulle sue ginocchia e il riccio alzò gli occhi, allarmato.
-Ehi, non ti faccio niente. Non mi piacciono le troie- il petto del riccio si alzò di scatto.
Nessuno l'aveva mai chiamato in quel modo. Ma sapeva di esserlo.
-Puoi andare- disse l'uomo, facendo cenno a Mark di entrare. Parlarono per decine e decine di minuti. Quando Mark uscì strinse il braccio di Harry tra le mani e lo trascinò fuori. Lo chiuse in auto e guidò superando i limiti di velocità.
Arrivarono a casa ed Harry scese dall'auto, traballando sulle gambe deboli.

-Muoviti!- ordinò l'uomo, ed Harry provò ad affrettare il passo.
-Ho detto- poggiò entrambe le mani sulla sua schiena -Muoviti!- e lo spinse. Quando Harry cadde, sapeva già lo avrebbero picchiato.
Sentì le mani di Mark afferrarlo per la maglietta, portandolo in casa e lanciandolo per terra.
Non si parò nemmeno durante la caduta. Voleva sentire il dolore. Viverlo.
-Des!- urlò Mark, e nel mentre diede un calcio sul fianco ad Harry.
Quando Desmond arrivò, Mark lo stava colpendo ripetutamente.
-Cosa ha fatto?- ma Mark non rispose.
Quando finì di colpirlo, aveva il fiatone a causa dello sforzo. Sputò sopra il corpo del ragazzo.
-Facci quello che vuoi- disse.

-Mio padre mi spogliò e mi fece sedere sul tavolino. I miei pensieri andarono subito ad un rapporto...-

-Porti le mutandine come i bambini, Harry. Pensavo fossi un adulto-

-Ero un bambino. Tutto di me faceva capire che fossi un bambino, ma loro vedevano solo ciò che volevano. Quando iniziò a fumare pensai mi stesse dando del tempo per riprendermi dai calci, ma non fu così-

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