12 luglio

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Da quattro giorni era iniziata la mia ennesima vacanza all'ospedale e da quattro giorni guardavo quella finestra e mi chiedevo se quel ragazzo fosse ancora in giro ad ammazzare la gente. La prudenza non era mai troppa, perciò mi armavo del mio coltello di plastica -seghettato- e lo tenevo al petto mentre guardavo il cielo imbrunire e le stelle fare capolino una ad una. Quattro giorni e lo sconosciuto non si era fatto vivo, cominciavo ad annoiarmi: le storie di Rosa riguardavano sempre suo marito che beveva troppo, il suo gatto stitico o la sua amica, Dolores, che si era presa una cotta per l'insegnante del corso di Zumba.

Non ci crederete mai, ma all'ospedale ci si annoiava parecchio. Avevo bisogno di un brividino lungo la schiena, anche perché non potevo avere molte scariche di adrenalina, l'adrenalina mi ha uccisa molte volte.

Quindi aspettai e mi addormentai con la faccia rivolta sempre alla finestra finché una notte, verso l'una meno venti, mi svegliai per andare a fare pipì e al mio ritorno, mi accolse un dolce vento caldo.

«Ciao».

Presi un gran respiro dallo spavento e mi portai una mano sul petto mentre il mio corpo collassava sulla parete che avevo appena sorpassato. «Gesù Santo,» boccheggiai qualche istante per riprendermi mentre aspettavo che il dolore al torace cessasse e la mia frequenza respiratoria rallentasse e allora mi domandò con un tono neutro: «Stai bene?», alzai la mano per dirgli di lasciar perdere, fortunatamente quell'attacco non durò molto ed ebbi la possibilità di rimettermi a letto con la testa che mi scoppiava e dentro di me una voglia di piangere che mi stava bruciando lo stomaco.

«Posso chiederti un favore?», domandai d'un fiato tentando di riprendermi del tutto, «Se devi venire a trovarmi vorrei che mi avvisassi, prendere questi spaventi mi fa male al cuore».
Shirai piegò la testa di lato senza alcun velo di espressione sul volto e guardò il mio petto gonfiarsi e tornare normale gradualmente. «Cos'ha il tuo cuore che non va?» sorrisi ad occhi chiusi: non è che non mi piacesse che la gente sapeva della mia disabilità, ma non mi piaceva ricordarlo a me stessa, anche se me lo aveva già ricordato l'apparizione di Shirai.

«Ho un malfunzionamento del miocardio, è troppo debole per spingere il sangue nel mio organismo e mi impedisce di fare molte cose» ripetevo queste cose come se fossero preghiere, le conoscevo a memoria ormai, mi sarei azzardata a dire in un momento di ironia che a momenti potevo sapere anche più del medico che mi aveva dato un mese di vita.

«Fa male?» domandò, non si mosse da lì da quando l'avevo visto. «Solo quando si sforza troppo» sbattei le palpebre molte volte per prendere a pugni le mie lacrime. «Forse hai ragione tu», Shirai si sedette sotto il davanzale con le gambe raccolte al petto nella maniera più silenziosa possibile.
«Riguardo a cosa?», «Al fatto che forse sono già un po' morta».
non rispose.

Io e quello che non capivo se fosse il mio assassino o meno rimanemmo in silenzio per minuti interminabili in cui un velo di sonno si stava stendendo elegantemente sul mio cervello. «Quindi non puoi provare emozioni» spalancai gli occhi voltando solo la testa e lo vidi nella stessa posizione di prima con le iridi chiare che navigavano sulle sue mani.

«Certo che posso, solo in modo molto ridotto», «Che senso avrebbe non provare appieno le tue emozioni?» mi massaggiai gli occhi, non sapevo se dover far finta di dormire o non rispondergli direttamente. «Non è una cosa che dipende da me sai?» «Io credo di si invece» sbuffai alzando gli occhi al soffitto che a malapena vedevo «E come?» «Morendo».

Alzai il busto e lo fissai, decisi infine di alzarmi dal letto e farmi spazio sulla parete di fianco a lui, sussultai quando per sbaglio gli sfiorai il braccio e quasi non sentii il contatto con la sua pelle, indossava solo una maglietta nera e un jeans del medesimo colore.

«Se muoio non provo più emozioni», lo contraddissi, «Se muori provi qualsiasi cosa istanti prima che tutto finisca», non replicai.

«Potrai provare amore», ipotizzò, «Ma nel tuo caso sarà difficile dal momento che è come se il cuore non lo possedessi».
Feci un verso di sufficienza facendo riposare la testa alla parete, «Si può provare amore anche senza avere un cuore, l'ho provato per diversi anni io», «Davvero?» voltò la testa per guardarmi e mi accorsi solo ora che i suoi occhi sembravano pieni di mare, ma non trovavo alcuna traccia di vita all'interno. Erano luminosi si, erano di un blu brillante ma era come se non riflettessero nulla al di fuori, erano blu ma sembravano così grigi.

Non gli dissi verso cosa provai amore, sapevo che se avessi pensato allo sport che avevo dovuto abbandonare mi sarei messa a piangere come una fontana e a quel punto il mio cuore sarebbe esploso. Trovai però molto affascinante il grigio del blu dei suoi occhi e rimasi a fissarli per non so quanto tempo, più li guardavo e più sembrava che la tonalità di grigio si trasformasse in qualcosa di astratto rendendo i suoi occhi ancora più mistici.

«Si», risposi flebilmente dopo chissà quanto tempo, il tempo nei suoi occhi sembrava non esistere o addirittura essere eterno. Mi davano un senso di inquietudine e tristezza che non si poteva entrare, sembravano aver visto molte cose quegli occhi, sembravano avere non solo 23 anni ma un'eternità, sembravano essere infiniti e finiti allo stesso tempo.

«Vorresti amare ancora anche a costo di morire?» Trattenni il respiro tremante e mi tranquillizzai per non sporcare la voce con il mio pianto.
«Certo che si», «Non hai paura della morte?» Mi trattenni dal ridergli in faccia, «Sono morta talmente tante volte che spero che la prossima sia quella buona».

Shirai corrugò lo sguardo per la prima volta e mi guardò con un cipiglio. «Tu vuoi morire?», non risposi. «Perché?».

Guardai i suoi occhi eterni, «Per vivere», dissi semplicemente. «Non ha senso avere un cuore che batte se non riesci a vivere».

Shirai sembrava essersi illuminato, le sue labbra secche e pallide si schiusero in una espressione di lieve stupore.
«Voi mi insegnate sempre cose nuove», «Noi?» Si alzò e si stiracchiò appoggiando gli avambracci al davanzale. «Con cosa si ama se non col cuore?» lo guardai dal basso, un leggero vento caldo gli accarezzava i capelli e risposi senza pensare: «Si può amare con la testa e con l'anima», «E in che modo?», mi chiese con una curiosità misteriosa. Io a quel punto sollevai dal mio inconscio i succhi della mia filosofia.

«L'amore ha varie forme come l'anima, il cuore ne ha una sola, quello è e quello rimane. Io credo,» Mi alzai con fatica e assunsi la sua stessa posizione «che il cuore sia il mezzo per amare e l'anima quello che lega l'amore in eterno. Finché morte non ci separi, si dice così ai matrimoni no? Però nel mondo ultraterreno, anche se il corpo muore, l'anima continua a vivere e se due anime sono legate nella vita perché non dovrebbero esserlo nella morte?»

Quella notte parlammo di amore e morte.

•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora