3 agosto

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Shirai aveva le mani affondate nelle profonde tasche dei suoi pantaloni, il vento scorreva lieve sulla sua schiena, fra i suoi capelli nerissimi. I suoi occhi blu erano congelati verso una scena che si stava svolgendo in lontananza.

Un bambino teneva entrambe le mani dei suoi genitori e saltava le crepe dei marciapiedi come se fossero ostacoli e in un lampo il cuore astratto di Shirai si ritrasse su sé stesso, perché gli ricordava una persona a lui molto simile che fra non molto tempo non avrebbe più ascoltato ridere.

Quella persona ero proprio io, arrivai nell'esatto istante in cui abbassava la testa per guardare il suo orologio, anche se stava forse aggiustando qualcosa con l'altra mano.

Lo salutai tenendo il bordo del mio cappello color panna in modo tale che il vento non me lo portasse via. Per quell'occasione speciale avevo messo un vestitino molto carino bianco dalle spalline sottili e la gonna larga, non tanto lunga.

Io e Shirai ci siamo accordati per fare un pic nic nello stesso prato dall'erba alta. Insieme ci incamminammo verso la zona di terra su cui si poteva stendere un telo senza problemi, portai un cesto di vimini con dentro delle pesche -sapevo che a lui piacevano parecchio- e qualcosa da bere. Lui portò solo la sua presenza.

Il sole picchiava forte, quindi ci mettemmo sotto l'ombra di quel bellissimo salice che era tanto grande da proteggere i fiori circostanti dai forti raggi solari.

«Questo appuntamento è molto vecchio stile, non trovi?» Shirai sorrise tastando la prima pesca delle tredici che avevo raccolto con cura dall'albero di mio nonno. Tolsi il cappello e mi sistemai i capelli che cominciarono a fluttuare nel vento caldo mentre, danzavano anche i capelli dell'albero insieme ai miei, facevano un rumore che a me dava molta calma e tranquillità.

«Tu sai quanto mi resta vero?» Shirai scosse la testa senza guardarmi, gli angoli della sua bocca gravarono verso il basso come arpionati da degli uncini, era sospettoso, ma non ci feci tanto peso. «No, ma finché non lo so il cielo resterà sereno».

L'angelo sostenne il suo busto per mezzo delle braccia tese ai suoi lati in linea con le spalle e si guardò intorno prima di guardare me scrutandomi da capo a pie in un modo che mi fece arrossire violentemente. «Sei molto carina». Smisi di masticare la dolce polpa della pesca nelle mie mani e cominciai a tossire in modo incontrollato. Shirai mise le mani davanti come per raggiungermi, ma alzai un braccio trattenendo un colpo di tosse. «Sto bene, mi è solo andato di traverso il succo», lui ridacchiò piegando la testa di lato.

Quando finalmente mi calmai, ripresi a mangiare con nonchalance mormorando un grazie che ero si cura che lui non sentì. «Posso... posso farti qualche domanda?»

Il ragazzo si pulì la bocca con il dorso della mano e annuì, ma quando mi diede l'accesso per chiedergli di una cosa qualsiasi, dimenticai tutti i quesiti che volevo porgli. Dovevo chiedergli qualcosa di intelligente e che non sembrasse stupido come me in quel momento, ma fallii miseramente.

«Da quanto tempo fai questo lavoro?»

Ero pronta a scusarmi un miliardo di volte, ma mi precedette nella mia ammenda con un'altra domanda. «Quanti anni pensi che io abbia?» mi domandò con un tocco di malizia nella sua voce, io feci come per pensarci, poi mi ricordai che aveva detto di averne ventitré. «Allora ne ho ventitré», rispose come se tutto dipendesse da quello che pensavo io.

«Oh... uh... tu- io... posso vedere il tuo orologio?» Shirai ammorbidì lo sguardo e si spostò accanto a me porgendomi il suo braccio. Lo presi rendendomi conto che fosse molto più muscoloso di quanto pensassi e guardai l'oggetto senza cercare di distrarmi, ma vedevo delle semplici lancette che segnavano l'ora esatta di quel caldo pomeriggio. «Non dovrebbe tipo... segnare l'ora e il giorno della morte di qualcuno?», Shirai sorrise per la mia ingenuità e fantasia, io arrossii per la vergogna.

«C'è un modo per vederlo sai?», «E come?», «Chiudi gli occhi». Sapeva di una grossa e grassa presa in giro, ma li chiusi comunque dandogli retta con dopo aver fatto una faccia scettica.

Attesi secondi senza che succedesse nulla e stavo spazientendomi parecchio, ma proprio quando pensavo di aprirli e dargli uno spintone, sentì sulle mie guance e qualcosa di freddo e subito dopo non lo sentì più.

Shirai mi aveva dato un bacio.

«E- e questo che cos'era?!», dissi rigida come un sasso mentre mi coprivo la guancia diventata più che rossa mentre con voce stridula borbottavo cose che non capivo nemmeno io.

Fu allora, e solo allora che mentre lo guardavo sorridere, ebbi la benedizione di sentirlo ridere a cuore aperto per la prima volta, vidi i suoi denti guizzare  fuori e splendere come diamanti sotto il sole cocente che non sentivo più.

Rimasi a fissarlo finché non finì di ridere e distolsi lo sguardo quando iniziò a guardarmi di nuovo. Dal panico che cominciò a salire come un onda tentai di prendergli di nuovo il braccio, ma si allontanava sempre di più da me. «Dai, fammi vedere! Sono curiosa!»

Shirai finì per sdraiarsi e tendere il braccio sopra la sua testa, io finì per sovrastarlo ma quando mi accorsi di essere sopra di lui mi irrigidii seduta stante e feci per ritrarmi; ma sentì due grosse mani tenermi ferma per le spalle.

Le nostre teste erano in linea fra loro, i miei capelli gli accarezzavano la faccia, li spostò delicatamente senza che nessuno disse una parola, li mise dietro il mio orecchio, fece scorrere i polpastrelli sulla mia guancia facendomi saltare in aria il cuore. «Ho quasi trecento anni, duecento novantasette per la precisione», rispose con tranquillità. Chissà perché era una risposta che mi sarei aspettata. Deglutii la saliva che non sentii e feci per parlare.

«Come sai quando le persone muoiono?» Shirai nel mentre continuava a giocare con i miei capelli e per nulla al mondo lo fermai. «Lo sento e lo vedo nella mia mente», «E come fai ad arrivare lì all'ora esatta?», «Io non sono come voi», rispose semplicemente: «Le leggi della fisica non contano quando qualcuno non esiste». «Ma tu esisti, vero?» Shirai sorrise e prese ad accarezzarmi le guance teneramente. «Se senti il mio tocco allora si, esisto».

Non stavo prestando particolare attenzione alle risposte che mi dava, quel momento era talmente bello che avrei voluto scolpirlo nel tempo in modo tale che non passasse mai. «Cosa ti dice quell'orologio?», «Quello che devo fare», sbuffai, ma lui continuava a sorridere. «Andiamo, sii più preciso» gli diedi un leggero pugno sul petto facendolo ridere di nuovo, poi sospirare.

«Beh te l'ho detto, quando le lancette si fermano vuol dire che il tempo è scaduto», mi accigliai, mi staccai da lui che si alzò sostenendosi sui gomiti.

«È troppo semplice», «Non lo è, credimi. Non è per niente semplice». Gonfiai le guance con la domanda sospesa nella mia mente e pronta a scattare dalla punta della mia lingua.

«Quante volte si è fermato il mio?» Shirai sembrò accigliarsi, in un momento mi parve anche spaventato ma di cosa non lo sapevo. Ma tutto quello che fece fu spazzare quell'espressione che mi faceva venire mille domande e rimpiazzarla con uno sbadiglio trattenuto.

«Che dici se rispondo alle tue domande un'altra volta? vorrei restare così ancora per un po'». Assottigliai lo sguardo guardandolo con divertimento e finto sospetto, poi mi avvicinai alla sua faccia facendo sfiorare i nostri nasi: «Una volta mi hai detto di essere troppo grande per me, non ricordi?». L'unica cosa che fece lui fu alzare il busto e sostenersi con una mano mentre l'altra sembrava essere intenta ad accarezzarmi dal modo in cui si era avvicinata, ma sembrava aver paura.

«No, non me lo ricordo».

Tutte le domande che mi ponevo, le risposte che mi aveva dato, i ma, i se, le paure scivolarono dalle mie mani con la stessa velocità di una cascata. Avrebbe dovuto essere il contrario, ma era come se mi fossi sbloccata nell'esatto momento in cui le sue labbra si posarono sulle mie.

Quel giorno di agosto parlammo di molte cose. E nonostante fosse il mio primo bacio, quello che ricevetti da lui, nonostante ci pensavo spesso e credevo sempre più che fosse freddo, casto e rigido, fu tutto il contrario; perché quel bacio, l'unico che avessi mai dato, fu caldo e dolce.

Non sembravano le labbra della morte, quelle.

•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora