Due giorni dopo tornai all'ospedale.
I miei genitori decisero insieme ai medici di effettuare un intervento. Avrebbero fatto un foro per creare una comunicazione fra atrio e ventricolo, e avrebbero inserito una specie regolatore del flusso cardiaco, un anello di cui non ricordo il nome. Ma insomma, non avevo neanche l'ansia dell'intervento perché nulla sembrava funzionare con il mio scompenso cardiaco.
Difatti sembrava che la terapia con farmaci a base di schifo non stesse facendo effetto, o meglio, era solo un mezzo per camuffare il fatto che io stessi morendo per l'ultima volta; anche se farlo sotto i ferri non mi piaceva come idea, sarei morta comunque no? Non mi opposi neanche alla decisione dei miei genitori che -ovviamente- facevano di tutto per non perdere la loro unica figlia.
Me lo sentivo che il mio cuore non ce la faceva più, aveva fatto uno sforzo enorme per tutti quegli anni e stava rallentando pericolosamente.
Tutto quello che potevo fare io era aspettare che si fermasse sotto gli effetti di un sonnifero, anche se avrei preferito attendere il suo dormire con occhi aperti.
Mi trovai stesa sul letto, con il busto alzato a guardare fuori da quella finestra chiusa dal vetro leggermente appannato, dalle gocce di pioggia che si facevano concorrenza a vicenda e scivolavano senza fretta verso il basso.
Shirai si mise a guardare le lacrime del cielo insieme a me, anche se a me sembrava che stesse guardando più me che la finestra. Mi dava come l'impressione che stesse compatendo la mia condizione irreparabile che stavo cercando di non dare a vedere. Ma le labbra mi giocarono un brutto scherzo, diventarono di un colore pallido, tendente al viola, ero dimagrita vertiginosamente, avevo delle occhiaie spaventose anche se dormivo più del dovuto, non avevo neanche quasi più fame.
I miei genitori si prepararono mentalmente a questo giorno, erano stati i primi a sapere che la terapia non stava facendo effetto e che era solo un mezzo per prendere il tempo che scorreva due volte, no, forse dodici volte più veloce di me, non riuscivo a starci al passo, invecchiavo velocemente, avevo il cuore di una novantenne.
«Shirai», Lo chiamai senza smettere di fissare la finestra, il ragazzo dai capelli bianchi rispose con un "si?" troppo dolce per quella giornata triste. «Ti sei tinto i capelli?», Shirai mi guardò come se avessi fatto la domanda più stupida sulla faccia della terra, ma la sua espressione mutò da una enfatica ad una compassionevole e triste che si abbinava benissimo con la pioggia.
«No, ce li ho sempre avuti così» lo assecondai senza posare lo sguardo su di lui, non volevo che mi vedesse così deperita, segnata dal tempo che scivolava fra le mie dita come granelli di sabbia, chissà se Shirai oltre che avere il potere di strappare l'anima alle persone riusciva pure a fermare il tempo...
«Senti, Shirai», non rispose, per me fu più che sufficiente il suo silenzio. Quindi mi ricordai di quello che gli domandai il giorno del nostro picnic sotto il bellissimo albero dai rami cadenti, mi ricordai di quella domanda che gli feci senza darci troppo peso e da cui non ricevetti risposta alcuna. Era arrivato il momento di avere delle risposte no?
«Quante volte hai fermato il mio orologio?»
Un lampo squarciò il cielo, lo illuminò per qualche secondo, poi si spense di nuovo. Quel lampo si poteva benissimo sovrapporre alle espressioni di Shirai di cui non riuscii a decifrarne la natura. Non mi rispose subito, forse stava decidendo come mettere giù una risposta che mi avrebbe fatta stare zitta, o forse stava inventando l'ennesima bugia che lui mi raccontava a fin di bene. Ma capì che in ogni caso io non me ne sarei stata in silenzio, non avrei trasferito il mio vivere nella mia coscienza e ci avrei parlato come fanno due amici di vecchia data separati da due boccali di birra. Lo capì sicuramente dal modo in cui lo guardavo che non avrei accettato il suo silenzio come risposta, forse non aveva un'anima, ma ero sicura che qualunque cosa fosse la stavo bucando con le mie iridi. Basta cazzate, gli dissi attraverso quello sguardo.
Shirai sospirò lento, senza fretta, voleva forse godersi gli ultimi attimi di pace e monotonia che ci sarebbero stati fra noi. Ma evidentemente questa cosa faceva male anche a lui, prese coraggio e si buttò dal precipizio.
«Io non ho mai fermato il tuo orologio», mi disse, «Nessuno può farlo, nemmeno io» mi parlava, mi inondava di negazioni, di divieti, mi parlava con uno strano tremolio nella voce che sentii per un solo momento. Ma mentre mi parlava io pensavo a quanto i capelli bianchi gli donassero, volevo sapere il motivo per cui li aveva tinti...
«Senti» lo interruppi nel suo tergiversare sbandato, scivolava sul ghiaccio delle sue iridi che sembravano smarrite, mi pareva anche di vedere quel ghiaccio creparsi quando gli domandai il perché alcuni punti della sua pelle sembravano essere coperti da lividi leggeri.
Sembra strano, ma giurai di aver sentito il rumore di qualcosa che si rompeva.
Shirai chiuse gli occhi, buttò la testa all'indietro finché non trovò la parete dietro di lui, lo fece altre due volte con le palpebre raggrinzite dallo sforzo e la sua bocca si contorse in una espressione di dolore che si tramutò subito dopo in una piena di tristezza.
«Mi dispiace».
E io non capivo.
«Scusami».
E il mondo tacque nelle mie orecchie quando lessi quella frase sulle sue labbra.
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•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]
Truyện NgắnUna notte, nell'ospedale di Kurashiki, Yura sente un rumore provenire dalla finestra della sua stanza al piano terra. Scoprirà che si tratta di un ragazzo che ha intenzione di ucciderla.