6 agosto

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Io e Shirai ci baciammo di nuovo, e poi ancora, e di nuovo, ci baciavamo come se fosse la cosa più bella al mondo. Mi piaceva molto Shirai, anche se la sua natura non era fatta per ricevere dei baci e la mia non era fatta per darli. Ma ci piaceva così, ci piacevamo così.

Passarono tre giorni dal nostro picnic romantico in mezzo ai fiori, scoprii che delle domande che gli avevo fatto quel giorni mi aveva risposto sinceramente solo ad una. Ovvero: quella sulla sua età. Non che mi avesse mentito sulle altre, ma lui stesso aveva detto che era difficile da spiegare.

Quello che capii era che lui era solo una delle tante forme della morte, che il suo aspetto -quello che vedevo io- non era la sua vera natura e che un giorno mi avrebbe mostrato cosa significava quella frase, ma quel giorno doveva ancora arrivare. Per placare la mia curiosità innata però, mi disse che la sua natura era un fuoco dalle fiamme blu, appariva dove doveva apparire e scompariva senza lasciare traccia. Si materializzava di nulla, non era un fantasma, solo una presenza che a me lasciava percepire come concreta e visibile.

Perciò solo io potevo vedere Shirai, solo io avevo il privilegio di baciare una delle tante forme della morte di cui normalmente bisognerebbe essere terrorizzati. A me invece quel ragazzo affascinava ogni giorno sempre di più, sembrava che stesse mutando, o che mutasse solo in mia presenza. Il pensiero che nei suoi quasi trecento anni di vita -o di morte- non avesse incontrato un altra persona come me mi era passato per la mente.

Era nello stesso campo di quella volta, in cui il giorno prima Shirai mi mostrò cosa volesse dire essere frustrati per non riuscire a raccogliere un fiore e contemplare la sua bellezza prima di vederlo appassire. Nel momento in cui strappò una margherita dal prato la osservai insieme a lui accartocciarsi su se stessa e diventare uno scheletro nelle sue mani.

Decisi quindi di fargli un bel regalo.

Shirai era sdraiato sul prato e i suoi capelli neri si muovevano insieme ai ciuffi d'erba, era etereo, idillico, di una bellezza che non si riesce a scrivere nei libri d'amore. Mi avvicinai a lui con cautela e mi inginocchiai all'altezza della sua testa. Lui percepì l'ombra coprirgli il viso e aprì un occhio guardandomi con dolcezza subito dopo.

«Ciao», mi salutò. Io, senza dire una parola, tirai fuori dalla mia schiena il mio regalo. Non appena lo vide lo prese in mano e se lo rigirò scrutandolo con stranezza. «E questi per che cosa sarebbero?» Gli presi i guantoni da forno che aveva nelle mani e glieli infilai con cautela.

«Voglio che tu raccolga dei fiori insieme a me», gli dissi semplicemente. Mi alzai e mi incamminai verso la zona di prato in cui c'erano più fiori da raccogliere. Erano straordinariamente variopinti, eleganti, vanitosi e sublimi. Spiegavano i loro petali come se fossero ali, danzavano nel vento come avrei fatto io da lì a poco tempo e mi chiedevo come potesse essere nascere fiore.

Shirai si alzò impacciato e fece per raggiungermi, analizzò il prato con occhi attenti finché non trovò un bellissimo giglio rosa ai piedi di quel salice.

Era il mio fiore preferito.

Si inginocchiò sull'erba e indugiò con le mani prima di prendere lo stelo con le dita che gli formicolavano dall'emozione, sembrava un bambino, un bellissimo bambino che aveva scoperto per la prima volta la bellezza di raccogliere un fiore. Perché lo notai guardando la sua faccia che era felice.

Era al settimo cielo, per la prima volta. Perché sapevo che lui non ci era mai stato e il luccichio nei suoi occhi quando lo colse mi fece piangere il cuore dalla felicità. Forse gli avevo insegnato qualcos'altro su questo mondo che lui ancora non sapeva, ero felice, davvero felice. Tanto che andai verso di lui e avvicinai le mani alle sue, ancora non si era accorto che fossi con lui.

Quando provai a togliergli i guanti mi guardò confuso e spaventato. "Ma il fiore non morirà?" mi aveva chiesto. Io non risposi, accompagnai semplicemente le sue dita a sfiorare i petali di quel giglio, erano sempre fredde e tremavano forse dalla paura di avere un'altra delusione. Ma ciò non accadde, perché quando le sue dita vennero a contatto con il fiore non successe un bel niente, forse fuori, ma dentro di lui sapevo che qualcosa si fosse mosso. Shirai aveva per la prima volta accarezzato un fiore, avrebbe pianto dalla felicità se non fosse stato un angelo della morte.

Shirai mi diceva sempre che non poteva raccogliere un fiore senza che questo morisse, ma quel giorno aveva capito che per accarezzare un fiore non ci vogliono solo le mani, ma ci vuole l'aiuto del cuore e mi fece pensare una cosa. Per tutto il tempo che aveva trascorso sulla terra, l'angelo aveva raccolto i fiori con la tristezza che gli bagnava il cuore e lo appesantiva sempre di più fino a diventare un peso per lui tanto che lo lasciò marcire come i fiori che tentava di complimentare. Forse gli avevo fatto cambiare la visione che aveva lui delle cose, non esisteva più solo il grigio, ma una bellissima sfumatura di colori primi che si mischiavano fra loro e danzavano insieme nelle iridi.

Li vidi i suoi occhi, non erano più ghiaccio.

Shirai poteva essere benissimo un angelo della morte, ma quel giorno di agosto aveva imparato a raccogliere un fiore, accarezzarlo e contemplarne la bellezza.

Quel giorno di agosto Shirai scoprì di avere un cuore.

•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora