28 luglio

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Stava finendo luglio, e con luglio stavo finendo di esistere anche io. Al contrario di lui, non avrei potuto esserci di nuovo l'anno seguente. Era l'ultimo ventotto luglio della mia vita e a me stava bene, cosa potevo fare se non accettare il mio destino?

Cominciai però ad apprezzare di più quel caldo che consideravo afoso, l'aria soffocante che entrava dalla finestra, l'odore dei fiori che si portava dietro, le dolci pesche dell'albero di mio nonno.

Non mi accorsi che avevo stretto il lenzuolo nei miei pugni con tanta forza che quasi non sentivo più le dita, nel mentre guardavo quella finestra aperta e infondo l'orizzonte che si espandeva e pensavo che forse avrei potuto vederlo da più vicino una volta che i respiri non avrebbero avuto più importanza come i battiti del mio cuore già quasi assenti.

Papà pianse tanto.

Non è bello sapere che avresti dovuto dire addio a tua figlia a breve, la mamma non avrebbe potuto consolarlo e consolarsi più di tanto, il nonno non poteva più trovare conforto nella nonna se non parlando alla sua lapide. Sono sicura che l'avrebbe fatto anche con me, mi avrebbe portato dei gigli perché sa che mi piacciono molto e li avrebbe annaffiati tutti i giorni evitando il più possibile di guardare la foto in cui sorridevo, in cui molto probabilmente avrei avuto la divisa da basket e la palla fra le mani perché forse il mio posto felice era proprio quella palla.

Nonostante questo non riuscivo ad essere arrabbiata con loro e i loro tentativi di allungare i pochi momenti che restavano, perché ero troppo impegnata ad esserlo con me stessa per essere nata con un cuore tanto debole da non riuscire quasi neanche a sorridere più.

«Vaffanculo a me», gracchiai fra i singhiozzi silenziosi.

Sbuffavo arrabbiata e stanca della mia vita, tenevo gli occhi bassi anche se sapevo che Shirai era lì, teneva anche lui lo sguardo basso, come se sapesse già che stessi uno schifo anche senza chiedermi nulla.

Era un apatico pieno di empatia fino all'orlo, pareva assimilare il mio dolore fisico psicologico fino al midollo e la sua forma mutava, non mi piaceva vederlo così, non mi piaceva vedermi così.

«Ho finito di leggere il libro che mi hai regalato.»

E in un istante parlò.

«Non mi è piaciuto.»

Sorrisi in mezzo al mio mare di dolore. Mi aspettavo una risposta del genere da parte sua, ma non capivo il perché nei suoi occhi non ci vedevo alcuna risposta; non che io sia riuscita a leggercene una, ma parevano diversi, tanto diversi. Erano di un colore più triste, erano rossi intorno l'iride, erano morti.

«Lo immaginavo, avrei dovuto darti una versione più... leggibile». «No,» sollevai lo sguardo, nel momento in cui le sue iridi vennero a contatto con le mie le vidi lacerarsi. «Il libro non mi è piaciuto, ma come l'hai scritto tu si».

Mi guardava, io lo guardavo. Ci guardavamo a vicenda e sembrava che le nostre anime si fossero appena accarezzate, o che stessero danzando sulle note di una canzone inesistente.

Io e Shirai ci guardavamo spesso, molto spesso non ci capivamo. Ma quella volta capii che aveva compreso quanto dolore era presente sulla carta di un semplice libro, quanta forza ho usato per strappare le pagine increspate dalle lacrime di rabbia che cadevano come pioggia su di queste, quanta pazzia c'era nella mia mano che teneva la penna che cancellava le parole che non tolleravo.

«Ho capito», mi disse guardandomi negli occhi. Io sorrisi debolmente e lo guardai con malinconia, solo un filo di voce uscì dalle mie labbra per dire un semplice «Lo so», anche se avrei voluto dirgli di scappare da quella stanza asfissiante e correre insieme a me verso il mare.

In quel momento i suoi occhi ebbero uno scatto fulmineo, altrettanto veloci furono i suoi movimenti nel saltare fuori da quella finestra come un coniglio e in un batter d'occhio la porta della mia stanza si aprì.

Rosa, il medico e i miei genitori entrarono da quella porta dopo aver bussato e mi raggiunsero in quel letto.

«Yura», iniziò il dottore, «Come stai oggi?». Annuii con foga nascondendo la mia voglia di mandarli a quel paese e richiamare Shirai a squarciagola con mezzo busto fuori dalla finestra. «Bene, molto bene direi». Rosa sorrise e ridacchiò insieme ai miei, il medico però mantenne la sua professionalità annuendo con l'accenno di un sorriso che stirava le sue rughe segnate dagli anni.

«Mi fa molto piacere, ho parlato con i tuoi genitori e insieme abbiamo preso la decisione di sostituire l'attuale terapia con una più funzionale e con meno effetti collaterali», la confusione si fece strada sul mio volto e in poco tempo non ci capì più niente.

«In che senso?», il dottore zittì, i miei genitori fecero lo stesso, Rosa prese un respiro come se avesse l'intenzione di dirmi qualcosa di rassicurante che sapeva non mi sarebbe piaciuto, e lo capì all'istante che c'era qualcosa che non andava. «È successo qualcosa?», domandai.

«Tesoro...» Rosa aveva quel tono di voce che usava con me solo quando mi beccava a sgattaiolare fuori dalla stanza di notte. «Gli effetti che i farmaci hanno su di te sono troppo potenti»; ed io continuavo a non capire.

«In che senso?», domandai ancora più confusa di prima, il dottore si affrettò a prendere la parola per evitare incomprensioni. «Gli effetti collaterali sono molto evidenti, vogliamo evitare dei danni permanenti»; ed io capivo sempre meno.

«Che vuol dire?», avevo capito che i giri di parole erano finiti quando vidi la serietà che il dottore aveva costruito negli anni per dare le brutte notizie ai suoi pazienti senza vacillare farsi strada nella sua voce. «Le allucinazioni stanno diventando più frequenti vero?»

Allucinazioni?

«Come?» Rosa si sedette sul mio letto e tentò di rassicurarmi con la sua bravura, ma non bastò per rendere chiare le cose nel mio cervello.

«Ti sento ogni giorno parlare e ridere nella tua stanza, ma non vedo mai nessuno lì con te», capivo sempre, sempre meno. «Ma non ti preoccupare, con questa nuova terapia avrai solo dei lievi mal di testa ed è efficace come la precedente, inizierai fra due settimane. Non sei contenta?»

Avrei tanto voluto esserlo Rosa; ma in quel momento avrei giurato di sentire il suono di un fulmine lacerarmi il cuore in due mentre il principio di una tempesta si stava facendo strada nei miei occhi.

•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora