Prologo

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Kawase Yura aveva solo quindici anni quando le venne diagnosticata una grave insufficienza cardiaca, il suo cuore adolescenziale era affetto da una disfunzione ventricolare sinistra che non seguiva il normale ritmo che un cuore normale dovrebbe avere per pompare il sangue nel circuito periferico. In poche parole, il suo cuore non spingeva abbastanza sangue.

Yura scoprì di questa cosa nel peggiore dei modi, altrettanto trattamento era serbato per i suoi genitori che erano presenti durante l'accaduto. L'ultima cosa che si ricorda prima di precipitare all'inferno, era una palla color marrone-arancio sostenuta dalle sue mani di fronte ad un canestro, di fianco a lei le sue compagne di squadra e le sue avversarie che erano pronte a guardare l'esito del lancio, un lancio che però non arrivò mai. La partita si concluse novantotto a settantuno per la squadra avversaria, il tempo congelato insieme al quarto periodo a un minuto e trentanove, la palla che si distorceva nelle sue mani, delle urla, molta gente raggruppata in un unico punto, un'ambulanza e una diagnosi provvisoria devastante.

La poverina aveva avuto un infarto durante il suo secondo tiro libero, fino alla fine aveva in testa le mosse successive della partita: se avesse centrato i due tiri il divario fra i due punteggi sarebbe diminuito, se avessero fatto dei passaggi consistenti, forti e precisi il capitano avrebbe tirato a canestro più di dieci palloni, se la difesa fosse stata abbastanza agile avrebbero cambiato il possesso di palla ancora e ancora fino a che il punteggio non si sarebbe ribaltato.

I suoi genitori erano fuori dalla porta della sua stanza insieme al medico. Parlava, parlava e parlava ma Yura più che leggere il labbiale non sapeva come dare significati alle parole che costruiva in testa come "insufficienza cardiaca, trapianto, gruppo sanguigno". Capì che erano cose molto gravi quando vide il profilo di sua mamma contorcersi in una smorfia di dolore astratto, cadere sulle ginocchia, piangere in agonia e suo papà che le accarezzava la schiena con le lacrime che stavano per formarsi agli angoli degli occhi. Lesse un ultimo "mi dispiace" dalle labbra sottili del dottore prima che se ne andasse.

Yura a quel punto, seduta su quel letto dalla scomodità tipica dei materassi ospedalieri, rimase a fissare la parete di fronte a se, si guardò i pugni che riposavano sulle cosce e ne portò uno all'altezza del cuore senza percepire alcun battito. Inizialmente si spaventò, ma aveva ancora il buon senso di immaginare che se il suo cuore non avesse funzionato a quest'ora sarebbe già bella che stecchita.

Quando il dottore, per correttezza, arrivò a spiegarle il motivo per cui era ancora sotto osservazione lei annuiva e guardava i suoi occhi velati di una pellicola giallastra tipica della cataratta, ascoltava la sua voce profonda e professionale che pronunciava solo parole lunghe e difficili da comprendere se non si ha avuto una preparazione in campo medico.

Ma come faceva sempre, cercava una traduzione negli sguardi dei genitori, come i loro occhi si chiudevano, con quanta intensità annuivano, come le loro labbra si arricciavano e aveva intuito che le cose che stava dicendo il medico erano molto complicate ed estremamente delicate.

Quando se ne andò, Yura aveva ancora la faccia di qualcuno che aveva ascoltato una conversazione sott'acqua. Non serviva comunque che la madre le spiegasse in parole semplici la prognosi del dottore, le bastò dire una semplice frase per far crollare il mondo sopra la testa di Yura e indebolire il suo cuore ancora di più.

"Non puoi più giocare a basket" aveva detto. Se prima non sentiva alcuna risposta dall'altra parte della gabbia toracica dopo ciò sentì il suo cuore ovunque: nelle orecchie, in gola, nel petto. Il dolore era talmente forte che andò in arresto cardiaco, per la seconda volta nel giro di due giorni.

I medici non le avevano dato più di un mese.

•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora