Faceva caldo quel giorno, ma a me sembrava inverno.
Mi sentivo fredda come la neve, sarebbe davvero bello se avesse nevicato quel giorno. Molto probabilmente avrei scavato nello strato morbido e bianco uno pseudo-angelo con il mio corpo, ma ero sicura che il tempo di alzarmi, voltarmi e controllarne la forma d'arte contemporanea che avrei creato e la sagoma non c'era più. Non ci sarebbe mai stata alcuna sagoma sulla neve, come non ci sarebbe stata la sagoma del mio sedere sul letto di quell'ospedale, anzi, ci sarebbe stata la sagoma di un altro sedere.
Uscii dalla porta della mia stanza con la completa assenza della paura, stesi le braccia con i pugni nella felpa grigia mentre passavo per il corridoio di quell'ospedale che avevo percorso fin troppe volte, a volte morta, a volte viva, altre volte ancora (come questa) con un lieve sorriso sulle labbra dal colore violaceo, secche. Non sapevo neanche il perché fossi ancora in quell'ospedale, a dire la verità.
Rosa era dietro il banco della segreteria con la cornetta bloccata fra la spalla e il suo collo massiccio, con una mano scriveva veloce su un foglio mentre annotava le credenziali di un paziente che aveva chiamato per posticipare un intervento di poco conto.
Le sorrisi, anche se era troppo impegnata per vedermi, se avessi potuto le avrei chiesto di raccontarmi dei suoi battibecchi con il marito, mi divertivo ogni volta che ne sentivo parlare.
Lo sospettavo, comunque.
Ci stavo pensando da un po' ormai, quando non hai nulla a lungo termine a cui pensare cominci a fare teorie su teorie, collegamenti fra avvenimenti che non c'entrano proprio un cazzo l'uno con l'altro e per la mente mi era passata anche quell'idea, ma non pensavo di averci azzeccato.
Non vedevo Shirai dall'ultima volta che il cielo lasciò cadere al suolo le sue lacrime. Era strano, ma avevo interpretato quel fenomeno come un qualcosa di buono, la morte di solito porta tristezza, a me invece faceva l'effetto contrario. Anche il tempo quindi sembrava cambiare quando era assente. Anzi, quando non si faceva vedere. Perché c'era, ero sicura che fosse da qualche parte nel mondo, non dalla mia però e il motivo non lo sapevo.
O forse si.
Probabilmente lo sapeva anche lui ma forse non sapeva come guardarmi dopo la nostra ultima chiacchierata di fronte una finestra dai toni di un grigio sereno. Dove fosse, non lo sapevo. Cosa stesse facendo, lo sapevo benissimo. Anche se non mi andava disturbarlo mentre faceva ciò che la sua natura gli dettava, non riuscivo a pensare a come facessero i miei piedi a muoversi da soli, sembrava sapessero dove fosse e che non stava affatto facendo ciò che la sua natura gli dettava.
Ma avevo così tante cose da chiedergli, cose che non avevo il coraggio di chiedergli il giorno prima.
Uscii dall'ospedale, per la prima volta senza guardarmi intorno, per la prima volta senza sentire caldo o freddo, senza sentire l'asfalto che tratteneva sotto di se il calore accumulato durante la giornata, la superficie bagnata della pioggia del giorno prima o il freddo vento alzatosi d'improvviso.
Guardai verso la direzione in cui soffiava, sembrava come se potessi vedere quella forza della natura fendere l'aria statica e trasportarsi da sola verso il salice piangente.
Il salice piangente sotto cui Shirai riposava tormentato dai suoi mostri.
Era bellissimo.
Era etereo.
Era un angelo.
Più mi avvicinavo e più percepivo che si fosse accorto della mia presenza, ma al contempo mi accorsi che qualcosa non andava. Sembrava senza forze, stanco, non alzò neanche la testa quando aprì gli occhi per tentare di guardarmi arrivare.
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•.*𝐿'𝒶𝓈𝓈𝒶𝓈𝓈𝒾𝓃𝑜 𝒹𝒾 𝓁𝓊𝑔𝓁𝒾𝑜*.• [Dabi x oc]
Короткий рассказUna notte, nell'ospedale di Kurashiki, Yura sente un rumore provenire dalla finestra della sua stanza al piano terra. Scoprirà che si tratta di un ragazzo che ha intenzione di ucciderla.