18. Qualcosa di sospetto

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Juliet tornò alla villa dei Gellerson, ed entrò senza fare rumore

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Juliet tornò alla villa dei Gellerson, ed entrò senza fare rumore. Aveva la gonna sporca a causa del terreno ove si era seduta, e avrebbe tanto desiderato che nessuno la vedesse in quello stato. Quindi corse su per le scale, e raggiunse la sua camera. Chiuse la porta dietro di sé.

Afferrò dall'armadio un abito azzurro, sempre di mussola, che sostituì a quello giallo che indossava. Dopodiché cercò di legarsi i capelli in uno chignon, ma si arrese al primo tentativo, dato che con le sue mani inesperte aveva creato un miscuglio di ciocche che non somigliava affatto ad un'acconciatura. Quindi li lasciò sciolti.

Juliet scese le scale per dirigersi nella sala da tè. Aveva una leggera fame, e sperava di fermarla con qualche semplice e gustoso biscottino che la cameriera le portava, a volte, assieme al tè.

Nella sala non vi era nessuno. La giovane donna si sedette su una poltrona dal cuscino piuttosto scomodo, dunque si alzò e prese posto sul divanetto. La cameriera le portò un vassoio con una tazza di tè e biscottini allo zenzero, posando il tutto sul tavolino che era tra la poltrona e il divanetto.

Esso dava le spalle alla porta, e Juliet non la vide aprirsi, ma sentì il suo lieve cigolio.

«Buon pomeriggio, Juliet.»

La voce di Jonathan la fece sorridere.

«Buon pomeriggio a voi.»

Juliet girò il collo per vederlo avanzare verso la poltrona davanti a lei. Quando si sedette, lui non sembrò accorgersi della scomodità del cuscino.

«Dunque siete stata da vostro cugino» affermò Jonathan.

«Già.»

Juliet abbassò lo sguardo sulla tazza da tè.

«Sembrate provata. C'è qualcosa che non va?»

«Sì.»

Lei alzò la testa, e fissò gli occhi chiari di lui con i propri scuri.

«Sì» ripeté. «In effetti c'è qualcosa che non va. Mio cugino Doug si trasferirà, e ha deciso di vendere la dimora che un tempo era mia.»

Jonathan alzò le sopracciglia.

«Ah... quindi non potrete più vedere le rose gialle piantate da vostro padre.»

Juliet sgranò gli occhi, stupita. Non credeva che lui si ricordasse di ciò che lei gli aveva detto quella mattina, e a cui non aveva dato un tono di particolare importanza.

«Sì... è esatto, non potrò più tornare lì.»

Jonathan annuì, spostando lo sguardo per la sala.

«E a voi com'è andata?» chiese Juliet.

Lui la fissò.

«Cosa?»

«La visita a vostra cugina.»

Jonathan sembrò ricordarsene solo in quel momento.

«Ah, già. Bene, vi ringrazio. Siamo invitati entrambi al matrimonio, si terrà qualche settimana dopo... dopo il nostro

«Oh» fece Juliet, posando la tazza non del tutto vuota sul tavolino. «Be', sono molto lusingata da questo invito... più tardi potreste fornirmi le informazioni necessarie per scrivere una lettera di ringraziamento a questa vostra cugina?»

«Ma certo, ne sarei lieto, e la mia cara cugina sarà oltremodo felice di ricevere una lettera da parte vostra... se non avete impegni troppo importanti, questa settimana potreste invitarla qui e fare la sua conoscenza.»

«Oh, sarebbe senz'altro molto interessante» rispose Juliet, con entusiasmo.

La conversazione cadde lì. Jonathan fece un piccolo sospiro, poi si congedò, augurando alla fidanzata di passare un gradevole pomeriggio.

Juliet attese qualche minuto dopo che lui ebbe lasciato la sala da tè. Quindi prese la tazza, con l'intenzione di portare il tè che era rimasto in cucina, dato che la cameriera non era più lì. Invece si decise ad entrare nella piccola stanza in cui erano tenute le stoviglie, e a cui si accedeva tramite una porticina posta nella sala da tè, per vedere se la cameriera fosse lì.

Ma dopo aver appena varcato la soglia, inciampò nella sua stessa gonna, e, fortunatamente, riuscì a non finire sul pavimento. Purtroppo, però, il tè rimasto nella tazza si riversò sulla parete della stanzetta delle stoviglie, lasciando una visibile macchia.

«No, no» piagnucolò piano Juliet.

Si portò una mano sul viso, sospirando, e, quando riportò lo sguardo sul danno che aveva fatto, vide qualcosa di molto strano.

La parete, lì dove era finito il tè, si era bagnata come fosse un foglio di carta. Juliet allungò il dito, spingendolo sulla macchia, e si creò un piccolo foro. La parete si era bucata tanto facilmente proprio come carta bagnata.

«Ma che...?» sussurrò.

«Signorina?»

Juliet sussultò, presa alla sprovvista, e coprì la macchia sulla parete con il proprio corpo, voltandosi.

Davanti a lei c'era un alto maggiordomo dall'aria severa, che lei non aveva mai visto. Come aveva fatto ad arrivare senza che lei lo vedesse?

«Signorina, voi non potete stare qui» disse, con un profondo timbro di voce.

«E perché no?»

«Non potete. Devo accompagnarvi fuori.»

«Scusatemi, ma cos'ha questa stanza di tanto speciale? Perché non potrei restare qui?»

«Mi è stato dato ordine di non rispondere a queste domande e di scortarvi fuori» replicò il maggiordomo.

«Ordine?» ripeté Juliet. «E da chi vi è stato dato?»

Il maggiordomo non disse niente.

«Dalla signora? Dal signore? O forse da qualcun altro?»

«Signorina, dovete uscire da qui.»

Juliet sospirò.

«Va bene. Potreste... andare voi avanti?»

Il maggiordomo alzò per un attimo le sopracciglia scure, poi scosse la testa e indicò la porta alla ragazza.

Juliet sospirò di nuovo, si spostò dalla parete, rivelando ciò che stava cercando di celare, e lasciò la stanzetta, con la tazza ancora in mano e il maggiordomo dietro di lei.

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