Ravi ha trentacinque anni e solo due anni prima la sua vita è stata sconvolta da un evento traumatico che lo ha portato a cercare la solitudine più completa. La sua unica ragione di vita è sua figlia, Emma, di otto anni, ormai orfana di madre.
Ravi...
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Ero così vicino a te che ho freddo vicino agli altri. (Paul Éluard)
«Papà? Papà?» sentii una piccola mano scuotermi leggermente la spalla. Aprii gli occhi lentamente e mi trovai davanti il faccino di Emma, mia figlia, illuminato dalla luce del corridoio. «Emma, perché non stai dormendo?» domandai con voce roca, tossendo un po'. Mi tirai a sedere e accesi la lampada che avevo sul comodino, non avrei nemmeno dovuto chiederlo, infondo conoscevo già la risposta.
«Papà ho paura, ho fatto un brutto sogno» si arrampicò sul letto, mantenendo il suo coniglietto di peluche in una mano e con l'altra si aggrappò alle coperte, iniziando a scalarle come se fosse su una montagna. La presi da sotto alle ascelle e la feci sedere sulle mie gambe.
Subito appoggiò la sua testolina sul mio petto e presi ad accarezzarle i lunghi e biondi capelli. «E cosa hai sognato?» «Io e la mamma stavamo annegando» il mio cuore perse un battito. Non era solo un sogno, è quello che è successo davvero, pensai. Le lacrime mi pizzicarono gli occhi e dovetti trattenermi, non volevo che Emma mi vedesse piangere, avrebbe aumentato solo la sua tristezza. Aveva otto anni, doveva ridere e giocare come gli altri bambini, avrei solo dovuto proteggerla dal mostro sotto al letto, ma non potevo tenerla al sicuro dai suoi stessi ricordi.
Se li sarebbe portati dietro a vita.
«Non devi preoccuparti amore, io sarò sempre qui a proteggerti» sussurrai facendola stendere accanto a me, tenendola stretta al mio petto e sentendo il senso di colpa mangiarmi il cuore. «Anche dal mare?» «Anche dal mare» «Anche io vorrei poterti proteggere» sussurrò prima di crollare in un sonno profondo.
Scusami Emma, per non avervi protetto davvero. Una lacrima solcò la mia guancia e mi chiesi perché un destino del genere era toccato proprio a noi. Eppure eravamo lì, eravamo vivi, io avevo ancora mia figlia accanto a me e non dovevo darmi per vinto. Dovevo respirare per lei. Dovevo vivere per lei. Come avrei vissuto una vita intera per Margherita.
*
«Emma forza, dobbiamo vestirci, altrimenti faremo tardi a scuola» ripetei prendendole un completo rosa dall'armadio. Emma andava a scuola dalle suore, tutti i giorni fino alle 16.30, io mezz'ora prima staccavo dal lavoro e perciò avevo tutto il tempo per andarla a prendere. Faceva la terza elementare e Suor Carolina continuava a dirmi che non faceva altro che isolarsi da tutti gli altri bambini.
Emma portava dentro un trauma che non avrebbe mai cancellato, forse solo attenuato. Aveva paura anche delle foglie che cadevano, ormai. E nessuno riusciva a capirla; le maestre ci provavano ad aiutarla, ma non era così facile. Era in cura dallo psicologo, prendeva tempo e soldi, ma avrei fatto di tutto per lei. Tranne attraversare l'Atlantico a nuoto.