Capitolo 18

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Martedì 4 febbraio 2020
Quattro giorni dopo l'omicidio


Il cielo era plumbeo e l'aria che passeggiava per la città era a dir poco ghiacciata. Era inverno inoltrato e una leggera coltre di nebbia copriva il paese. Doe e Wood erano già svegli da qualche ora, impazienti di continuare le indagini e magari arrivare ad una svolta, o addirittura alla chiusura e soluzione del caso. Quella mattina i due agenti decisero di dividersi: Doe andò da Rachel scusandosi per aver disturbato nuovamente la famiglia Child ma doveva informare la ragazza dei nuovi sviluppi e soprattutto della scoperta fatta la sera prima.Wood, invece, si diresse alla scuola superiore di Blawind per parlare con Umberto. Il detective era pronto a metterlo sotto torchio e a farlo confessare, non vedeva l'ora di arrestarlo e chiudere tutta la faccenda che si stava prolungando fin troppo per i gusti di Wood.


La scuola che Wood si ritrovò davanti era immensa ed eminente, l'intera facciata era fatta di pietra che Chris riconobbe essere arenaria grezza. L'edificio era simmetrico, al centro vi era una grande scalinata che portava alla porta d'entrata mentre ai due lati erano posizionate due rampe messe a disposizione per chiunque non avesse voluto o fosse stato in grado di superare gli scalini. Tutto intorno al palazzo vi era un'enorme area erbosa ben curata e verde abbellita da abeti blu e pini che d'estate avrebbero regalato un po' di ombra e frescura agli studenti. Wood alzò la testa e notò un'enorme vetrata proprio al centro dell'edificio e riuscì a vedere diversi studenti che si muovevano tra gli scaffali esorbitanti e maestosi di una biblioteca realizzata interamente in legno. Wood si tolse gli occhiali da sole dal viso e se li sistemò sulla testa per poi entrare finalmente a scuola. I corridoi dell'edificio erano grandi e popolati di ragazzini, ma quando la campanella suonò, si dileguarono tutti come topolini dopo aver visto un gatto. All'improvviso Wood si ritrovò spaesato e avvolto dal silenzio senza sapere che direzione prendere: sembrava aver perso l'orientamento fin quando una giovane ragazza non gli toccò una spalla.«Posso aiutarla?» chiese la ragazza. Aveva dei lunghi capelli biondi, gli occhi da cerbiatta e un fisico da ballerina. «Si è perso?»«Stavo cercando Umberto, l'insegnante» rispose Wood su di giri ammiccando alla ragazza che sembrò lusingata dalla sue attenzioni.«Mi segua. Il Signor Widow insegna nella mia classe stamattina.»Senza farselo ripetere, Wood seguì la giovane che, pochi metri più avanti di dove si trovavano, aprì una porta e vi entrò.Wood rimase in ascolto qualche secondo per poi fare capolino nella stanza. Tutti i ragazzi erano in silenzio e quando il detective entrò in aula senza bussare, si girano tutti verso di lui, compreso l'insegnante.«Alice, sei in ritardo!» disse una voce maschile.«Mi scusi» concluse poi la ragazza arrossendo rivolgendo un ultimo sguardo a Wood. Si leccò il labbro superiore con fare malizioso, gli fece l'occhiolino ma Wood non cedette, rimase composto, mentre la ragazza andò a sedersi al suo posto. Wood avrebbe giurato di trovarsi difronte il classico maestro un po' sfortunato, cicciottello e senza capelli, invece rimase stupito dal fisico statuario di Umberto, dalla folta chioma castana e dagli occhi azzurri come il mare, ad un primo sguardo, poteva avere sui trent'anni e sembrava essere stato scolpito da Michelangelo. Il ragazzo che Wood si ritrovò davanti non assomigliava per niente al padre, non aveva nemmeno una caratteristica che potesse ricordare Don. «Umberto?» chiese il detective.«Si?»«Sono il detective Wood. Potremmo parlare in privato?»«Certamente.»Il signor Widow assegnò dei compiti alla classe che dovevano essere svolti durante la sua breve assenza e poi uscì dalla classe seguito da Wood. «Andiamo in aula insegnanti, se per lei va bene» disse Umberto.«No problem» concluse Wood pronto a tutto. I due fecero pochi passi per entrare in una nuova aula: a ridosso delle pareti vi erano innumerevoli scaffali ricolmi di libri mentre al centro della stanza, alcune scrivanie erano unite tra di loro per creare un unico ed enorme tavolo come se i professori fossero una specie di cavalieri della tavola rotonda - in questo caso, rettangolare - pronti a salvare i propri studenti da un mare d'ignoranza. Nell'ambiente aleggiava l'odore ligneo del mobilio e di cellulosa invecchiata, un aroma univoco che caratterizzava i libri antiquati vittime del tempo. La stanza dei professori era vuota e Umberto fece accomodare Wood su una sedia mentre lui si sedette difronte al detective.«Come posso aiutarla?» continuò poi l'uomo.«Sappiamo di Rachel.»«Come?» Umberto sembrava stranito da quella affermazione. «Cosa intende?»«Non faccia finta di niente, Rachel è incinta e il bambino è suo.»Umberto sbiancò di colpo e aprì la bocca come per dire qualcosa ma non uscì nulla.«Quando ha scoperto della gravidanza, voleva farla abortire ma Elisabeth non glielo ha permesso e così ha deciso di vendicarsi della farmacista. Ormai sappiamo tutto, non neghi l'evidenza» spiegò Wood tutto d'un fiato e con un ghigno sulla faccia abbastanza soddisfatto. «Se confesserà, il giudice sarà più clemente.»«Ma che dice?!» urlò Umberto infuriato alzandosi di scatto dalla sedia come se volesse prendere la rincorsa per colpire Wood ma rimase con i piedi ben piantati per terra e in posizione eretta. «È vero, il bambino è mio, ma non ho mai voluto che Rachel abortisse e tanto meno ho ucciso una persona!»«Si calmi, e i sieda» continuò il detective irritato.«Se mi vuole accusare di essere il padre del bambino di rachel, ha ragione, ma io non sono un assassino» rispose Umberto sedendosi nuovamente. Era tutto paonazzo. «Ho un alibi per la sera dell'omicidio!»


Wood e Doe si ritrovarono in commissariato dopo l'ora di pranzo. Passarono tutta la giornata a pensare, scrivere, creare dei collegamenti e a inventarsi possibili colpevoli per l'omicidio di Elisabeth ma non riuscivano a venirne a capo. Sembrava tutto inutile. Wood si era messo le mani nei capelli diverse volte, aveva sbuffato per tutto il tempo e aveva fumato quasi tutto il pacchetto di sigarette che aveva rubato alla baita. Wood era sfinito, non aveva prove e nemmeno indizi che gli indicassero la direzione da prendere.

Umberto? L'alibi era confermato.«E se indagassimo nuovamente sul marito della vittima?» chiese ad un certo punto Wood ma Doe lo smontò subito dicendo che aveva un alibi di ferro, confermato dalla figlia e dai vicini di casa. Ormai si era fatta sera e i due non avevano per le mani nulla, di nuovo. Sconfortati decisero di mollare tutto, tornarsene a casa e farsi una bella dormita, magari il giorno seguente sarebbe andata meglio. Wood si disse che non poteva continuare ad incolpare le persone del posto senza avere delle prove, era diventato davvero una persona irritante che avrebbe accusato chiunque pure di chiudere il caso, ma sapeva che non poteva lavorare così, non era certamente quello che gli avevano insegnato e non era corretto verso gli abitati di quella cittadina, Rivermountain, dove una volta aveva vissuto anche lui. 

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