JUNGKOOK'S POV:
Mia nonna ha sempre affermato che fare dolci è il miglior rimedio contro la tristezza. È una nonna adorabile, e faceva biscotti talmente buoni da leccarsi i baffi, ma si sbagliava di grosso. Da più di due anni ormai sfornavo nella mia bakery torte di ciliegie, paste, croissant, bagel, e qualunque altro dolciume si possa immaginare. E avevo capito che i dolci sono un rimedio solo contro il girovita e ogni proposito di seguire una dieta.
E comunque non ero una persona triste. Avevo compiuto da poco venticinque anni e mi ero reso conto di non poter aspettare che la vita venisse a bussare alla mia porta. Chiamatemi pure ingenuo e tardo di comprendonio, ma ero convinto che se fossi rimasto sempre umile, avessi lavorato sodo e mi fossi comportato da bravo ragazzo, tutto il resto sarebbe venuto da sé. Così la mia vita trascorreva serena, tranquilla, normale, un giorno dietro l'altro, mentre il tempo passava sempre più veloce. Se mi fossi distratto un attimo, mi sarei ritrovato ancora vergine a ottant'anni, a sfornare cupcake così buoni da provocare orgasmi spontanei. Pasticcere dalle doti strabilianti, ma dalla vita grama. Ecco, quello non era esattamente il mio sogno. Nel mio cuore sapevo che se avessi continuato a evitare le opportunità che mi si presentavano davanti con la stessa caparbietà con cui evitavo il filo interdentale – eccetto il giorno prima di andare dal dentista – sarei diventato un pasticcere vecchio, brontolone e illibato.
Sfornare dolci era facile. Aveva una sua logica. Aggiungete questo, togliete quello, infornate a questa temperatura, lasciate riposare per un certo tempo. È una scienza, quindi, se si segue la ricetta e si presta attenzione a ciò che si fa, si sa quel che si ottiene. Per questo amavo l'arte della pasticceria. Fare dolci era il mio rifugio, mi faceva sentire al sicuro. Se mia sorella e Hoseok, il mio unico dipendente, non mi avessero continuamente punzecchiato perché, a loro dire, mancavo del tutto di vita sociale, avrei vissuto solo per il mio lavoro. Nei fine settimana mi piaceva andare in avanscoperta nei mercatini di zona per scovare prodotti locali freschi, mi appassionava testare nuove ricette e provare a perfezionare quelle classiche. La pasticceria era la mia vita. Non mi sarei sorpreso di avere una farcitura di ciliegie al posto del sangue. Di sicuro sul viso avevo più spesso farina che altro. C'era la pasticceria e c'era la mia vita. Forse un giorno le due cose avrebbero trovato piena realizzazione: si sarebbe avverato il mio sogno di allargare il locale e perfezionare le mie ricette, così da raggiungere finalmente quella felicità piena che ancora mancava alla mia vita. Altri giorni, invece, mi sembrava di vivere in una gabbia rivestita di torte e dolci: deliziosa, ma pur sempre una gabbia.
Sì, amavo quel che facevo, ma no, nonna, la pasticceria non era un toccasana.
Dovevo solo dare un'occhiata al vecchio e consunto testo universitario che avevo messo sotto il piedino del forno, comperato di seconda mano. Uno dei piedini era più corto degli altri, giusto quel tanto che bastava per infilarci sotto un libro, e ridare equilibrio al tutto. Biologia marina e dinamica di un ecosistema raro. Gli autori avevano preso una manciata di paroloni scientifici, li avevano mescolati tra loro come dentro un frullatore, e avevano pensato che gli studenti della facoltà si sarebbero sentiti dei geni portando a spasso quel tomo. Poi, avevano pensato bene di metterlo in vendita a trecento dollari. Così quando alla biblioteca della facoltà mi avevano offerto dieci dollari per acquistarlo, avevo mandato a farsi fottere loro e i dieci dollari.
Be', tecnicamente avevo pensato che potevano andare a farsi fottere. In realtà, avevo sorriso educatamente, li avevo "ringraziati" e poi, per calmarmi, avevo sentito Matt Costa tornando a casa. Da una vita lavoravo a contatto col pubblico e sapevo che non era corretto prendersela con la persona dietro al bancone per una cosa indipendente dalla sua volontà.
Così negli ultimi sei o sette anni avevo usato quel libro in una maniera diversa. Se non avevano intenzione di ridarmi trecento dollari, lo avrei impiegato in trecento modi diversi. All'inizio, lo usai come fermaporta nel dormitorio del college durante il periodo in cui frequentai la facoltà di sociologia, che mi dotò di una laurea utile a raccogliere polvere in uno schedario dimenticato chissà dove. Ci andai a sbattere contro, ci inciampai e, senza pensarci troppo, lo umiliai – la volta in cui ci picchiai contro l'alluce lo chiamai "ciccione", il che, devo ammetterlo, fu un po' esagerato, ma non avevo certo intenzione di scusarmi con un libro. Poi, quando non fungeva da fermaporta, mi era servito per schiacciare i ragni. Lo avevo usato anche per dormirci sopra, tutte le volte in cui il gatto prendeva possesso del mio cuscino. Ci avevo anche scarabocchiato dentro. E adesso? Fungeva da supporto al mio forno. In poche parole, era la colonna portante della mia attività.
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𝕍𝕠𝕘𝕝𝕚𝕠 𝕌𝕟 𝔹𝕣𝕒𝕧𝕠 ℝ𝕒𝕘𝕒𝕫𝕫𝕠 {𝕋𝕒𝕖𝕜𝕠𝕠𝕜}
Fanfic*Dal Capitolo: ???* JUNGKOOK'S POV: Come ho conosciuto Taehyung? È entrato nella mia pasticceria, ha comprato una torta di ciliegie, rubato un vaso di fiori - non avevo idea di cosa diamine dovesse farci - e lasciato il suo biglietto da visita in be...