Parte 5

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«E poi sono svenuto. Non so per quanto tempo.»

Come accadeva sempre quando raccontava l'incidente, Jungkook percepì di nuovo quell'indescrivibile oppressione al petto. Gli sembrava di trovarsi ancora intrappolato a testa in giù dentro la macchina.

«Poi mi ritrovo sulla strada. Il clacson non smette mai di suonare. Non so come, ma riesco a uscire dalla macchina, mi trascino carponi sull'asfalto. Ho dolori dappertutto. Alle mie spalle sento il fragore dell'incendio. Non riesco a girarmi, non ce la faccio. Mia madre e mio padre... Loro... insomma, loro erano ancora dentro!»

Deglutì, incapace di proseguire. Succedeva sempre così. Tutte le notti sognava l'incidente, e non smetteva mai. Ma la cosa peggiore era quando doveva parlarne.

Il dottor Kim gli lasciò tempo, rimanendo in silenzio come al solito, e tutte le volte Jungkook gli era riconoscente per questo.

Cercò di calmarsi, guardò fuori dalla finestra e si toccò le cicatrici ai polsi. Ormai erano guarite e non gli prudevano più, l'impulso di grattarsi era diventata una stupida abitudine. Quando si rese conto di ciò che stava facendo, smise subito.

Lo studio del dottore si trovava al secondo piano del reparto di psichiatria pediatrica. Era un'afosa giornata d'agosto e guardare fuori il parco della Golyeo Byeong-won era un bello spettacolo. Gli edifici che ospitavano i reparti erano circondati da alberi, aiuole fiorite e cespugli, che davano l'impressione di trovarsi in un parco e non in un ospedale. Negli ultimi cinque mesi Jungkook era andato spesso a passeggiare in quel paradiso.

A poca distanza si trovava la foresta di Cheju, il luogo che aveva cambiato per sempre la sua vita.

Per un po' rimase a osservare un elicottero, sospeso sopra gli alberi come una libellula, quasi fosse alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Il sole si rifletteva sulla cabina, ma per un attimo Jungkook ebbe la certezza di vedere la vernice verde e la scritta POLIZIA.

Si domandò se anche dopo l'incidente avessero usato un elicottero, magari un mezzo dell'elisoccorso, ma non se lo ricordava.

Non ricordava tante cose. Per esempio non sapeva come fosse uscito dall'auto.

«Questi vuoti di memoria» disse tornando a guardare il dottor Kim. «Lei ha detto che sono una conseguenza dello choc, vero?»

Il dottore annuì. Era un uomo magro dai capelli castani con occhi amichevoli che osservavano attentamente Jungkook. A Jungkook piaceva, soprattutto perché non somigliava affatto all'idea che si era fatto di uno psichiatra. Nei film di solito erano sempre figure anziane, con il camice bianco, gli occhiali spessi e folte chiome alla Einstein. Il dottor Kim Seokjin, al contrario, sembrava un amico comprensivo. Dimostrava meno della sua età, e per qualche motivo gli ricordava Nam. Solo che Nam non sarebbe mai riuscito a rimanere seduto in poltrona tranquillo così a lungo, pensò. Quanto al carattere, il fratello maggiore e lo psichiatra erano agli antipodi.

«Esatto, dipendono dallo choc» confermò il dottor Kim, «e dalla commozione cerebrale che hai subito. Si chiama amnesia lacunare. Come abbiamo già detto, nel tuo caso si tratta di una forma molto lieve. Non hai alcun motivo di preoccuparti. Hai recuperato molto bene.»

«Sì, forse» sospirò Jungkook. «Ma che cosa mi dice di questi sogni? Se ne andranno?»

«Certo che se ne andranno. Magari non del tutto, ma saranno meno frequenti. Fino a quel momento non dimenticare mai quello che ti ho detto: i brutti sogni hanno anche un lato positivo, servono a uno scopo. È come fare le pulizie di primavera nella tua testa, una specie di igiene mentale che ti aiuta a elaborare l'accaduto. Per questo dovresti essere paziente, anche se è difficile.»

Jungkook si girò di nuovo verso la finestra. L'elicottero si era allontanato e stava sorvolando un altro punto del bosco.

«E la porta?» domandò, facendo riferimento alla parte del sogno che non riusciva a spiegarsi.

Il dottor Kim si sporse verso di lui. «Continui a sognarla?»

«Sì, la vedo sempre in fondo al sogno. È in mezzo alla strada nel bosco e non riesco ad aprirla. È pazzesco, no?»

«Non direi» lo tranquillizzò il dottor Kim. «Non tutto ciò che vediamo in sogno deve avere un significato. Neppure quando sogniamo avvenimenti reali come succede a te. A volte un sogno è solamente un sogno. Ovvio che la porta può simboleggiare i ricordi perduti, ma potrebbe benissimo trattarsi di una porta e basta, che è lì in mezzo a una strada.»

«Lo crede davvero?»

Il dottor Kim lo guardò ammiccando e indicò un calendario artistico appeso al muro sopra la scrivania. Quel mese l'immagine raffigurava due elefanti dalle orecchie a punta. Camminavano impettiti l'uno verso l'altro su sottili zampe da gru portando in groppa una costruzione torreggiante.

«Pare che Salvador Dalí sognasse spesso elefanti del genere» disse il dottore alzando le mani con un sorriso. «E anche giraffe in fiamme, corpi umani con cassetti e orologi fusi. Questi sogni lo hanno reso famoso, ma non per questo era considerato pazzo. Al massimo lo si potrebbe definire provocante ed eccentrico. Quindi, per quale motivo tu non dovresti sognare una porta su una strada nel bosco, senza per questo doverti considerare pazzo?»

Jungkook sorrise all'idea che qualcuno lo paragonasse a quel pittore fuori di testa. Finora conosceva soltanto i celebri dipinti con gli orologi sciolti. Ne avevano parlato durante la lezione di storia dell'arte. Sapeva che quell'immagine era un esempio emblematico del surrealismo, ma gli sembrava che ci volesse una mente piuttosto folle per farsi venire un'idea del genere. Tuttavia capiva ciò che voleva dire lo psichiatra, e preferì non fare commenti.

«Magari potresti dedicarti anche tu alla pittura, che ne dici?» propose il dottor Kim. A questo punto Jungkook non riuscì a trattenere una risata.

«Meglio di no.» Pensò al suo maestro di arteterapia che tutte le volte esaminava con interesse i suoi lavori, senza riuscire a nascondere la compassione per la mancanza di talento artistico di Jungkook. «Al dottor Jung verrebbero ancora più capelli bianchi.»

Anche il dottor Kim scoppiò a ridere. «Vedo che stai ritrovando il senso dell'umorismo. Questo è molto promettente.» Guardò l'orologio. «Bene, la nostra seduta è terminata e non dobbiamo far aspettare la zia. Non mi resta altro che augurarti tutto il bene possibile per il futuro.»

Seguì un saluto breve ma sincero. Fino a quel momento Jungkook non avrebbe ritenuto possibile che un giorno l'idea di lasciare la clinica gli sarebbe risultata spiacevole.

Come se gli avesse letto nel pensiero, il dottor Kim gli ricordò le ore di terapia in ambulatorio di cui poteva approfittare tutte le volte che ne avesse sentito il bisogno. Il medico sarebbe andato in ferie per tre settimane, ma sarebbe rimasto a sua completa disposizione.

In cuor suo Jungkook decise che avrebbe aspettato il ritorno del dottor Kim. Non aveva mai stabilito un buon rapporto con il dottor Jung. Lo psicoterapeuta lo aveva sempre guardato come se non si fidasse di lui. Di fronte a lui Jungkook si era sempre sentito un pazzo.

«E per quanto riguarda i brutti sogni» disse ancora il dottor Kim mentre lo accompagnava alla porta, «meno cercherai di respingerli, prima se ne andranno. Lascia che l'impresa di pulizie faccia il suo lavoro nella tua testa. Dalle un po' di tempo, e vedrai che i sogni spariranno.»

Jungkook avrebbe voluto tanto crederci.

𝕀𝕟𝕔𝕦𝕓𝕠 {𝕁𝕖𝕠𝕟 𝕁𝕦𝕟𝕘𝕜𝕠𝕠𝕜}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora