Parte 68

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Devi frequentare di più la gente. Non puoi startene sempre rinchiuso in camera tua a leggere o a giocare al computer. Esci e parla con qualcuno reale. Altrimenti un giorno resterai da solo.

Era stata sua madre a dirglielo una volta. Anzi, no, veramente glielo ripeteva spesso.

E adesso era lì. Tra la gente.

Era al commissariato di polizia di Suban, nel cuore della città.

Davanti a lui il traffico scorreva sulla strada e i pedoni camminavano sul marciapiede. Andavano a fare la spesa, oppure a un appuntamento, o in uno dei tanti caffè e ristoranti lungo la via principale.

Il tempo era splendido, una perfetta giornata d’estate. Ideale per godersi una bibita fresca all’aperto e conoscere le persone. Ma, anche se le strade brulicavano di gente e intorno a lui la città spumeggiava di vita, Jungkook era solo.

Invisibile.

Nessuno badava a lui. Nessuno gli rivolgeva la parola. Nessuno lo avrebbe aiutato. Perché nessuno gli credeva.

Aveva solamente se stesso e Jimin.

Fu assalito da un’ondata di disperazione. Se voleva scagionare Nam, avrebbe dovuto agire di persona. E questo lo terrorizzava.

Avrebbe voluto essere uno degli eroi dei film e dei libri che gli piacevano tanto. James Bond. Batman. Il conte di Montecristo o Roland, il pistolero. Loro sapevano sempre che cosa fare. Erano coraggiosi e determinati e non avevano paura di niente.

Ma non dovevano neppure affrontare la realtà. Come toccava fare a lui.

La vera avventura era la realtà. Nella vita reale nessuno aveva poteri soprannaturali, né una seconda possibilità. Non c’erano trucchi e non si guadagnavano punti extra per ottenere una vita in più, nel caso si sbagliasse la prima volta. Nella vita reale, quando qualcosa andava storto, andava storto.

Per questo aveva bisogno di più coraggio di tutti i suoi eroi messi insieme.

Stava per tornare verso la bici immerso in questi pensieri, quando notò un camion fermo a pochi passi da lui a un semaforo. Sulla fiancata dell’automezzo c’era il logo della ditta Hannes Waschhauser e sotto la scritta a lettere maiuscole IL VOSTRO PROFESSIONISTA DELLE PORTE. Accanto erano disegnate diverse porte che ricordarono immediatamente a Jungkook quella dei suoi sogni. La porta dello studio dietro la quale stava telefonando sua madre. Ricordava la sua voce agitata.

All’improvviso una parola affiorò alla sua mente. Una parola che la madre aveva pronunciato venerdì e che gli aveva provocato un dolore tremendo. Ora la ricordava perfettamente.

... distrutto!

Che cosa significava? Che cosa era distrutto?

Provò a concentrarsi, ma senza riuscirci. Il ricordo era svanito con la stessa velocità con cui era arrivato. Come se qualcuno avesse sollevato brevemente un sipario davanti alla parola nascosta e poi lo avesse lasciato cadere di nuovo.

... distrutto!

Che cosa? Per la miseria, che cosa è distrutto?

«Attento!» gridò una voce femminile accanto a lui e Jungkook si girò da quella parte.

Trattenne il fiato. Accanto a lui c’era sua madre. Il suo fantasma, che la notte prima gli aveva impedito di guardarla. Ora però era tornata, ed era più spaventosa che mai. Un corpo carbonizzato con occhi ardenti e malvagi, che sprigionava un calore fortissimo e tremolava davanti a lui come l’asfalto sotto il sole.

Il fuoco le aveva divorato la faccia. Guance e labbra erano spariti e i denti bianchi scoperti in mezzo alla carne annerita disegnavano un ghigno spaventoso.

Alla luce del giorno Jungkook vide il fumo che saliva dal suo corpo e credette perfino di sentirne l’odore. Un puzzo ripugnante e acre, che gli provocò un conato di vomito.

Lei reggeva qualcosa di informe tra le dita ossute e carbonizzate. Jungkook non lo riconobbe subito. Solo quando vide lo stemma annerito della Ford, capì che era un volante. La plastica era deformata in un bizzarro ovale.

«Be’, che ti succede?» domandò quell’essere mostruoso, che un tempo era stata sua madre.

Jungkook avrebbe voluto gridare, ma gli mancò la voce. Di colpo l’immagine cambiò e divenne quella di una sconosciuta. Al posto del volante, stringeva l’impugnatura di un passeggino e lo fissava irritata. Il bambino nel passeggino piangeva.

«Allora, che c’è?» disse lei spazientita. «Ti decidi a farmi passare?»

«S-scusi» balbettò Jungkook facendo un passo indietro.

La donna spinse il passeggino davanti a lui scuotendo la testa e ben presto si confuse tra la folla.

Jungkook si strofinò il viso con mani tremanti e fece qualche profondo respiro, finché il battito del cuore si calmò.

Devo concentrarmi su Nam, pensò. L’importante adesso è Nam. La porta e i sogni possono aspettare.

Fece appello a tutto il proprio coraggio e prese il cellulare. Selezionò il numero che gli aveva dato Choi Beomgyu.

Dopo diversi squilli Jungkook si aspettava già di sentire la segreteria telefonica, quando Beomgyu rispose.

«Jungkook» disse con voce allegra. «Ma che bella sorpresa. Non dirmi che oggi hai deciso di essere dei nostri.»

«In effetti sì» rispose, sforzandosi di avere un tono allegro come Beomgyu. «Mi piacerebbe molto provare ad andare in canoa.»

«Perfetto, ne sono felice» disse il vicepreside. «Allora, se per te va bene, possiamo incontrarci verso le tre alla rimessa delle barche.»

A Jungkook parve di sentire nuovamente la voce di Jimin. Finché dai ascolto alla ragione e ai sentimenti, non ti farà niente. Ma guai se gli lasci campo libero. Ti divorerà.

«Volentieri» rispose. «Alle tre va benissimo. Non vedo l’ora.»

«Anch’io, Jungkook. Ti divertirai, credimi. Allora a più tardi.»

«A più tardi.»

Beomgyu riagganciò e Jungkook rimase a fissare il cellulare.

Era già la seconda volta che mentiva quel giorno. Erano state bugie necessarie, ma aveva pur sempre mentito.

Ogni bugia esige vendetta, diceva sempre sua nonna.

Sperava ardentemente che non fosse così.

𝕀𝕟𝕔𝕦𝕓𝕠 {𝕁𝕖𝕠𝕟 𝕁𝕦𝕟𝕘𝕜𝕠𝕠𝕜}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora