Parte 20

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Intristito, Jungkook si mise a sedere sui gradini dell'ingresso. Alzò il capo verso il sole e guardò il cielo socchiudendo gli occhi.

In alto sopra di lui uno stormo di colombi volava in tondo. Il fruscio regolare delle ali creava una lieve melodia.

In altre circostanze sarebbe stata una perfetta giornata estiva. Il cielo limpido, il fogliame che frusciava nella brezza leggera, gli uccelli che cinguettavano, api e calabroni che ronzavano nel mare di fiori sul prato.

Ma quello era il parco del collegio Halla. Era il luogo dove avrebbe vissuto, perché non aveva più una casa.

Il capolinea temporaneo della mia esistenza, pensò.

«Ehi, guarda un po' chi c'è.»

Jungkook si girò nella direzione da cui proveniva la voce. Riconobbe il ragazzo del cimitero. Veniva dagli impianti sportivi. Stava bevendo da una lattina di Coca-Cola, nera come tutto il suo aspetto. Solo la pelle scintillava diafana.

«Ancora tu» disse lui. Voleva dare un'impressione di indifferenza, ma non riuscì a nascondere del tutto la gioia nella voce. «Da chi stai scappando stavolta?»

Lui piegò la testa di lato e alzò un sopracciglio. «Scappare? Io?»

«Stamattina era Frankenstein» ribatté Jungkook. «Oggi chi ti sta inseguendo? Dracula?»

Lui si strinse nelle spalle. «Non mi sorprenderei se in questa catapecchia vivessero davvero dei vampiri. Ma, a giudicare dal tuo nuovo completo da detenuto, vedo che hai intenzione di scoprirlo di persona.»

Con un cenno del capo indicò i regali di benvenuto di Beomgyu che Jungkook aveva posato accanto a sé.

Lui sospirò. «'Volerlo', mica tanto, piuttosto 'doverlo' scoprire. Secondo mia zia è la soluzione migliore per me. E mio fratello maggiore ha già la sua vita.»

«Benvenuto nel club degli scaricati» disse il ragazzo. Poi indicò verso gli alberi nel parco. «Ti va se ci mettiamo all'ombra? Non ho voglia di farmi venire il cancro alla pelle restando qui sotto il sole.»

Il club degli scaricati, pensò Jungkook. Somiglia al rispettabile club dei fuori di testa. Appartengo già a due associazioni esclusive.

«Va bene» rispose alzandosi. Lo seguì, lasciando sulle scale la giacca e la polo ancora incartate. Che fosse qualcun altro a prendersi la divisa da detenuto.

Giunti sotto gli alberi, il ragazzo gli porse la lattina. «Ne vuoi un sorso?»

«No, grazie. Fa venire la tachicardia.»

Lui rise. «Chi te l'ha detto?»

«Mia madre.»

«Credi sempre a tutto quello che ti dicono gli adulti?»

«Non a tutto, ma i miei genitori di solito avevano ragione. A proposito, mi chiamo Jungkook. E tu?»

«Jimin.»

«Come mai non sei a casa durante le vacanze?»

«Perché non ho più una casa.»

«Anche i tuoi genitori sono morti?»

«Più o meno.» Jimin alzò lo sguardo verso il fogliame, così fitto da nascondere completamente il cielo. «Non sono loro a essere morti, bensì io.»

«In che senso?»

Lui bevve un sorso di Coca. «Be', mi trattano come se non esistessi più. Mia madre ci ha lasciati quando avevo quattro anni. È andata a vivere in una comune di artisti, prima a Berlino, poi negli Stati Uniti. Per il mio settimo compleanno mi ha spedito un biglietto da San Francisco dipinto da lei. Roba astratta. Da allora non ho più avuto sue notizie.»

𝕀𝕟𝕔𝕦𝕓𝕠 {𝕁𝕖𝕠𝕟 𝕁𝕦𝕟𝕘𝕜𝕠𝕠𝕜}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora