«Jungkook? Jungkook! Jungkooook!»
Si scrollò e si rese conto che era stato solo un ricordo. Si trovava ancora nel corridoio, accanto alla porta della camera numero 19, da dove proveniva un fetore spaventoso.
Jimin gli stava agitando la mano davanti al viso. Aveva gli occhi spalancati dalla paura e dall'ansia.
«Jungkook, per la miseria, che succede?»
«Oh... Jimin» balbettò lui. «Scusa.»
«Che cos'hai?»
«Non lo so, all'improvviso mi sono sentito così strano. E poi...»
«È il momento di chiamare la polizia!» gridò lui. «Presto! Non c'è più tempo.»
Jungkook guardò il cellulare con aria sgomenta. Erano trascorsi dodici minuti dalla telefonata. Beomgyu poteva arrivare da un momento all'altro.
Fece cadere a terra il grimaldello e sfogliò velocemente la rubrica del cellulare. Finalmente trovò il numero del commissariato che aveva memorizzato prima di recarsi all'hotel. Meglio andare sul sicuro, aveva pensato, ma aveva quasi rischiato di farsi scappare il momento giusto.
Attese il segnale di libero, la mente ancora stordita, ma non accadde niente.
Preso dal panico, diede un'occhiata allo schermo e, quando lesse la scritta, provò un tuffo al cuore.
Nessun servizio.
«Porca miseria! Qui non c'è campo!»
«Cosa?» gridò Jimin. «Riprova!»
«Ci puoi scommettere!»
Avanzò per il corridoio muovendo il cellulare davanti a sé. Ma non cambiò nulla.
«Sbrigati!» lo incalzò Jimin, ma inutilmente.
Ormai era arrivato alla scala, ma non c'era campo. Nemmeno una tacca.
Si guardò intorno in preda all'agitazione, imprecando tra sé. Quel vecchio rudere stava per crollare, ma era ancora perfettamente isolato, anche dalla rete telefonica.
«Jungkook, ti prego, fa' qualcosa!»
Jimin era sul punto di scoppiare a piangere e anche lui cominciava a sentirsi paralizzato dal terrore. Cosa doveva fare? Tornare fuori?
Perché errare lontano, quando il bene è tanto vicino?
La voce di suo padre. Era uno dei motti che gli piaceva tanto citare.
Questo proverbio ti potrà aiutare, proseguì la voce. Guardati intorno e vedrai che il vecchio Goethe aveva ragione.
Cominciò a osservare intorno a sé e comprese all'istante perché il subconscio avesse fatto affiorare la voce del padre nella sua testa.
«Maledizione, no! Non è possibile!» sbuffò, ma si rese conto di non avere scelta.
«Che cosa fai?» esclamò Jimin saltellando da un piede all'altro per l'agitazione come in una danza nervosa.
«Telefono» borbottò l'altro a denti stretti, dirigendosi verso la camera 17.
Con il cuore in gola osservò il tramestio sotto la finestra. I ratti non si erano ancora accorti di lui. Erano troppo occupati a divorare le patatine.
Fissò deciso la fessura della tapparella e fece un profondo respiro. Quindi entrò nella camera dove i topi correvano qua e là alla ricerca delle ultime briciole. Un passo dopo l'altro raggiunse la finestra tenendo d'occhio il display del cellulare.
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𝕀𝕟𝕔𝕦𝕓𝕠 {𝕁𝕖𝕠𝕟 𝕁𝕦𝕟𝕘𝕜𝕠𝕠𝕜}
رعبJungkook è un ragazzo difficile, rinchiuso da sempre nel suo mondo. La sua vita precipita in un incubo dopo la morte dei genitori in un terribile incidente d'auto, dal quale Jungkook esce miracolosamente illeso ma, da allora, soffre di fobie, alluci...