NON ERO PRONTA

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Il mattino seguente mi svegliai solo quando il dottore venne a vedere come mi sentivo. Mi sembrava di aver dormito solo cinque minuti, eppure l'orologio a parete segnava già le undici del mattino. Il sole era abbagliante, il cielo era terso e qualche nuvoletta bianca e spumosa lo solcava di tanto in tanto. Ebbi bisogno di qualche minuto per rimettere insieme i pezzi della nottata precedente. Il mio sguardo saettò al letto di fianco al mio. Vuoto. Come il piccolo comodino di lato. Senza filtri tra cervello e bocca, questa parlò ancor prima che me ne rendessi conto.

"Dov'è Justin?"

Allarmata lanciai occhiate per tutta la stanza, cercando qualsiasi genere di oggetto che potessi ricollegare a lui. Niente. Sparito. Avevo sognato tutto? Eppure la sensazione di averlo avuto vicino a me era così reale. D'istinto toccai la parte di letto dove si era coricato lui. Fredda. Non potevo averlo solo immaginato.

Il dottore si sedette accanto a me con espressione dispiaciuta. Mi prese una mano, mi tastò la fronte e mi puntò una minuscola lampadina negli occhi.

"Dov'è?"

"Tutto ok Taila ... non c'è nulla di cui tu ti debba preoccupare ... i riflessi sono nella norma e presto sarai dimessa. I tuoi genitori vorrebbero vederti, se te la senti di alzarti potresti andare a trovarli. La flebo possiamo toglierla, non è più necessaria."

Il dottore guardò la sua tirocinante dai capelli rossi e lei si avvicino a me, indossò un paio di guanti di lattice e con molta cautela tolse l'ago dal mio braccio con tubicino annesso.

"Ecco fatto Taila, puoi muoverti in libertà ora. I tuoi genitori ti aspettano!"

Li ringraziai e loro con un cenno del capo mi salutarono per poi uscire e continuare il loro giro di visite mattutine.

Dov'era Justin?

Mi alzai piano dal letto. Ero traballante, ma mi sentivo in grado di affrontare qualche metro per poter vedere mamma e papà. Erano proprio nella stanza affianco alla mia. Mi soffermai sulla porta sentendoli parlare a bassa voce.

"Cosa farà adesso? Sono preoccupata! Sua zia non ha mai voluto nemmeno incontrarlo, figurati prendersi cura di lui. Non possiamo lasciarlo solo proprio adesso ! Ci sarà pur qualcosa che possiamo fare!"

Zia? Zia di chi? Lasciarlo solo? Ma chi?

Sentii solo mio padre darle ragione. Mi accostai alla porta facendola cigolare. I miei genitori voltarono lo sguardo verso di me e i loro occhi si illuminarono. Tesero le braccia. Corsi da loro, abbracciandoli uno per volta. Un nodo mi salì in gola. Mi accorsi solo in quell'abbraccio quanto la cosa mi avesse lasciata scossa. Mi sfuggì qualche singhiozzo. La mamma mi accarezzò i capelli con tutta la dolcezza che solo una madre poteva avere. Mi prese il volto tra le mani guardandomi con occhi lucidi.

"Oh i miei occhi di cioccolato!"

Mi strinse il volto baciandomi i capelli e le guance. Mi allontanò da lei solo il tempo di studiare il mio corpo e le ferite. Solo quando fu certa che a parte qualche botta ed escoriazione, non c'era nulla di irrecuperabile mi lasciò salutare papà. Lui mi strinse tra le braccia forti e cercò di sdrammatizzare la situazione con una battuta.

"Hai visto i tuoi vecchi come sono delle pappa molli tesoro? Bloccati in un letto di ospedale solo per qualche botticella qua e la?!"

Sorrise, ma vedevo che nascondeva qualcosa. Tuttavia ricambiai l'abbraccio caldo. Mi piacevano le braccia forti e protettive di papà. Mi facevano sentire al sicuro. Sembrava che avvolta dal suo calore e profumo nulla potesse farmi del male. Oh come mi sbagliavo.

"Mamma?"

La guardai dritta negli occhi, e per un attimo sembrò di vedermi allo specchio. Stessi capelli castani, stessa pelle abbronzata e stessi occhi coloro del cioccolato fuso. Attesi qualche istante, non sapevo come formulare bene la domanda? Alla fine pronunciai solo dei nomi? I loro nomi.

TRAGHETTATORE DI ANIMEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora