Capitolo 19- Ohw, al diavolo!

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Capitolo 19
Ohw, al diavolo!

Rafe era stato dimesso dall'ospedale un paio di giorni dopo l'operazione che aveva fatto di emergenza al braccio ed io mi ero prodigata per cercare di assisterlo in ogni modo.

Ero rimasta quanto più possibile in ospedale e, una volta tornato a casa, avevo iniziato a spendere le mie intere giornate in camera di Rafe, seduta su una poltrona accanto al suo letto a tenergli compagnia.

Lasciavamo la porta aperta, in modo che il signor Cameron potesse passare dal corridoio ogni quindici minuti per controllarci con disinvoltura, fingendo prima un imprevisto e poi un altro.

«Ti preparo un tè caldo?» Avevo chiesto allarmata quando Rafe si schiarì la gola con un colpo di tosse.

Lui rise, scuotendo la testa. «Ci sono trenta gradi là fuori, non lo prendo un tè caldo, Ginny.» Il modo in cui mi brontolava mi avrebbe fatto ridere se non fossi stata così dannatamente preoccupata per lui.

«Ma guardateli.» Aveva fatto il suo ingresso Rose, la matrigna di Rafe, con un largo sorriso in volto. «Sembrate una coppia di vecchi sposi.»

Immaginai di essere diventata rossa perché mi sentivo andare le guance a fuoco, cosa assai inusuale per me. «Dai, Rose!» Si lamentò Rafe come un bambino, imbronciandosi appena.

«Va bene, va bene.» Alzò le mani in segno di resa, ma si sedette ai piedi del letto del figliastro. «Io e tuo padre stiamo per andare a un convegno.»

Questo spiegava il perché di quel vestito elegante bordeaux, del trucco marcato e dei tacchi a spillo che indossava. I miei genitori erano una coppia che frequentava spesso eventi mondani, ma mai come i Cameron.

I due erano molto legati non solo dal matrimonio, ma anche da un comune senso degli affari. Niente a che vedere coi miei genitori.

Mia madre, pur avendo studiato e lavorato nel settore impresario, aveva mollato la carriera non appena era nata Mary. Quando poi nacqui io, mia mamma trovava troppo difficile la vita di famiglia e aveva affidato entrambe le figlie alla tata, Dorothea appunto, e aveva cominciato a frequentare teatri, mostre di pittori e scultori più o meno conosciuti e a intrattenere gli ospiti, e i clienti, più dal punto di vista puramente estetico.

Rose Cameron, però, era un tutt'uno con gli affari del marito e anche questo li rendeva così affiatati ai miei occhi.

«In casa ci sono Sarah e Wheezie.» Continuò Rose prima di spostare lo sguardo su di me. «Mi raccomando, cara, non fargli fare troppi sforzi. Non ha ancora capito che gli aspettano delle settimane di puro relax per una pronta guarigione.»

Si alzò alla svelta e ci sorrise calorosamente, per poi andarsene dalla porta e scendere giù le scale. Guardai Rafe divertita. «Dimmi che non sono l'unica ad aver pensato male.»

«Non sei l'unica.» Confermò in un sussurro. «Ma penso che fosse il suo intento.»

Ridacchiai, suscitando la stessa reazione in Rafe, che però aveva ancora un forte dolore alle costole così si chinò, lamentandosi e gemendo. Mi affrettai a sollevarlo, a farlo stendere nella posizione che mi aveva mostrato l'infermiera.

Ero agitata, nervosa, impanicata. Non era la prima volta che Rafe sentiva quelle fitte, ma mi dispiaceva comunque moltissimo vederlo così sofferente. Non ero abituata a una versione così vulnerabile di Rafe.

Lo guardai in agitazione, con tutta la mia preoccupazione palesata sul volto. «Tutto bene ora?» Chiesi con un filo di voce.

Rafe aveva chiuso gli occhi e li riaprì solo per rassicurarmi. «Sì, sì, tutto bene.»

Kooks life||Outer BanksDove le storie prendono vita. Scoprilo ora