Capitolo 22- Cosa hai fatto?

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Capitolo 22
Cosa hai fatto?

John B mi afferrò per il polso prima che, impulsivamente come al solito, sbucassi fuori dal nostro strano e angusto nascondiglio dietro a una parete di legno.

Come riuscissero a non vederci al di sopra di quel paravento improvvisato, non me lo seppi spiegare.

Probabilmente gli uomini alle spalle di Alex erano troppo intenti a fissare i ragazzini appesi al muro per accorgersi di noi alle loro spalle e i Pogues erano troppo spaventati e stanchi per aguzzare la vista.

L'unico che aveva una valida scusa per non beccarci era forse Alex, che camminava distrattamente per l'enorme stanza giallognola mentre parlava fomentato.

Lanciai uno sguardo interrogativo a mia madre, che, silenziosa, aveva dato ordine a Fernandez di compiere la successiva mossa. Mamma mi guardò per un nano secondo, senza espressione sul volto stanco e provato e naturalmente non mi consolò per nulla.

Mi voltai, allora, verso John B, che, con il viso contratto in una smorfia, bisbigliò; «Cazzo, è sempre stato lui».

Cercai di mettere a fuoco l'immagine di fronte a me; Alex che camminava barcollando come se avesse ingerito qualcosa, ma, se conoscevo Alex come credevo, non era assolutamente il tipo di persona da drogarsi.

Ma non era neppure il tipo di persona che commetteva un omicidio.

«È stato lui, è stato lui!» Aveva poi urlato, facendomi gelare il sangue nelle vene.

Quella voce che mi aveva sempre ricordato mia sorella, che sapeva di amicizia e famiglia, ora fremeva violenta. Sentii quelle urla nelle ossa.

«È stata tutta la colpa sua.» Aveva poi mormorato, accasciandosi su una parete umida.

Strinsi impulsivamente il palmo della mia mano in un pugno, mentre cercavo di zittirmi. Cosa diavolo voleva dire che era tutta colpa sua? Cosa aveva combinato?

Un brivido forte mi fece tremare. Sentii la mano di John B scivolare lentamente sopra al dorso della mia mano, stretta in un pugno, e con una leggera pressione mi accarezzò la pelle accaldata come ad infondermi coraggio.

Sollevai la testa verso di lui, pronta a trovarmi le sue iridi verdi su di me, invece i suoi occhi erano fissi sui suoi amici e riuscivo perfettamente a catturare ogni sfumatura del suo stato d'animo; rabbia, dolore, paura.

Ciononostante, non aveva smesso di accarezzarmi dolcemente e, sotto al suo tocco fraterno, mi rilassai appena, lasciando che le unghie smettessero di conficcarsi nella pelle del palmo.

Ignorai lo sguardo curioso di mia madre e quello disinteressato di Fernandez, mentre posai i miei occhioni stanchi sulla scena di fronte all'asse di legno che ci riparava da occhi indiscreti.

«Pezzo di merda!» Quell'urlo. JJ.

Repressi un sorriso quando vidi il volto arrossato di JJ, le sue labbra rosate che si aprivano minaccioso come fauci di un lupo. Detestavo vederlo in quello stato, incatenato come un animale ed insanguinato, ma il fatto che avesse conservato il suo spirito selvaggio, ribelle e spregiudicato mi rincuorò.

«Perché? Perché l'hai fatto?!» Aveva urlato poi, facendomi sentire il cuore in gola.

Vidi con la coda dell'occhio Fernandez aggeggiare con un pezzo di metallo con una antenna, ma quando aggrottai le sopracciglia mia madre mi fece cenno di tacere.

«Mary ti amava!» Tirò fuori la voce Kiara, che, coi lunghi capelli ricci e scuri a contornarle il volto, non si riusciva a distinguere eventuali ferite.

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