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"Nun po' esse' tanto male, scusa", biascicò Jacopo, la bocca piena di pizza, sputacchiando qui e lì pezzetti di impasto.

Lo sguardo assolutamente disgustato che gli riservò Simone, fu impagabile per Jacopo stesso, che gli sorrise mentre annacquava il tutto con un sorso di birra.
Simone si pulì le mani con un fazzoletto di carta già unto, che poi gettò nel cartone ormai vuoto.

"Non lo conosci, è pure peggio" si sistemò meglio sulla sedia ed appoggiò gli avambracci coperti dalle maniche arrotolate della camicia al tavolo di vetro "Hai parlato co' Luna?"

Improvvisamente Jacopo si rabbuiò e il sorriso gli scivolò dalle labbra, prima di sostituirsi con uno più amaro: "Sì, che c'ho parlato. E me sa proprio che stavolta ho fatto na' stronzata, Simò."

Simone si fece di nuovo serio, scrutando il gemello con gli occhi, che di solito riusciva sempre a carpire ogni informazione necessaria semplicemente guardando la sua espressione, come si guardasse allo specchio.

"Jaco, ma che, le hai fatto le corna?"

Lo sguardo dell'altro si fece divertito per un attimo, mentre sbuffava una risata leggera.

"E secondo te quella me lasciava tutti l'attributi apposto? E su, che la conosci pure te."

Simone sbuffò, già leggermente spazientito dal comportamento sfuggente del gemello. Jacopo era sempre stato, dei due, quello sfuggente. Simone era taciturno, certo, ma già da bambini Jacopo era capace di sfuggire agli altri più di lui. Proprio il suo essere solare e sempre energico, faceva in modo che gli altri fossero accecati da quel lato del suo carattere, così da non accorgersi degli altri.

"Jacopo, te giuro che se nun te fai serio per cinque secondi, le pizze che te dava mamma per esasperazione te sembreranno petali."

Jacopo sbuffò e si sistemò anche lui meglio sulla sedia alla destra di Simone, lo sguardo incastrato finalmente in quello della controparte. E Simone, in quello sguardo, ci vide un'apprensione che non aveva mai scorto in suo fratello, forse complice il suo modo leggero di approcciarsi alla vita, come fosse piuma su un mondo di piombo.

"Vabbeh, diciamo c'ho fatto 'n casino."

"Eh, e che casino?" Simone afferrò la bottiglia di birra mezza vuota al centro del tavolo e ne versò un po' a suo fratello, per tenere il resto per sè.
Jacopo si rigirò il bicchiere di vetro verdognolo tra le dita, dove sull'anulare spiccava la piccola fedina trasparente che lo accomunava a Luna, la sua -in quel momento molto adirata- fidanzata. Trasparente perché doveva ricordare la plastica, in quanto la prima volta che Jacopo le aveva chiesto di diventare ufficialmente la sua ragazza, lo aveva fatto con il cerchietto di plastica del tappo di una bottiglietta d'acqua; e Luna gli aveva detto di sì anche per quello, probabilmente.
Erano folli in un modo talmente libero, da riuscire ad esserlo sempre insieme, ma Simone a Luna aveva sempre riconosciuto una cosa: era l'ancora di suo fratello, che altrimenti avrebbe continuato a librarsi sul mondo per tutta la vita.

"Ho comprato 'na parte del negozio di dischi da Gigi."

Simone aggrottò le sopracciglia, perché sapeva già dove stavano andando a parare.

"Co' quali soldi, Ja'?"

"Eh" il ragazzo prese a distruggere un fazzoletto di carta con le mani, nervoso "Coi sordi che stavamo conservando pe' il mutuo, e quali sennò?"

A quel punto, l'altro sgranò gli occhi, incredulo di fronte all'ingenuità del fratello.

"Jacopo, ma davvero? Ma Luna ha cercato di ucciderti, immagino!"

"Eh, stava come a 'na iena, Simò. Però c'ha ragione, eh, lo so!"

"E sì che lo sai! Ma perché hai fatto sta cosa, poi?"

Roma 17Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora