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Simone, in campo di emozioni, era sempre stato un fallimento. Non sapeva gestire quelle altrui e di certo, le sue lo spaventavano e lo inorridivano al punto da farlo scappare a gambe levate quando si prospettava all'orizzonte anche solo qualcosa di vagamente emotivo. Quel bacio su cui stava arrovellando pensieri e dita da quando aveva aperto gli occhi alle quattro e trenta del mattino, gli stava facendo lo stesso effetto. Che lui aveva sempre avuto tutto sotto controllo, e in quel momento, quando aveva letteralmente smesso di pensare, il controllo lo aveva perso del tutto. Non faceva altro che rivedere nella sua testa quella scena come fosse uno spettatore inerme e, più la rivedeva, e più si dava dello stupido, che con tutte le persone con cui poteva perdere il controllo, aveva scelto proprio Manuel Ferro.
Che poi Manuel Ferro fosse l'unico capace di fargli perdere staffe e lucidità in una volta sola, beh, quello era un altro paio di maniche.
Si alzò sbuffando dal letto dove si era rifugiato, le lenzuola tirate fin sopra la testa nel silenzio assordante di casa sua, ora vuota ad eccezione di lui.
Jacopo aveva fatto pace con Luna e se ne erano tornati nel loro appartamento a cercare di far quadrare i conti fin quando quella situazione non si fosse risolta.
Matteo lo aveva chiamato per dirgli che Gigi era in stato di fermo, la sua indagine proseguiva, e tutto quello a cui riusciva a pensare Simone era che lui, il mattino dopo, al distretto non voleva andarci. Non riusciva a pensare al fatto di dover affrontare Manuel e quegli occhi enormi che si ritrovava.
Manco fosse un tredicenne che voleva evitare il bulletto della scuola.
Si stropicciò il viso con i palmi delle mani e sospirò, adocchiando il balcone aperto della camera da letto e la brezza leggera che stava facendo muovere le tende azzurre.

Quando uscì fuori, l'aria fredda lo colpì in viso e sembrò restituirgli una parvenza di serenità.
Ci mise un po' a notare, sul balcone adiacente al suo, Chicca rannicchiata in un angolo che guardava il cielo.
Nella penombra della sera, era davvero bella, anche solo con indosso un pigiama di cotone.

"Ciao", le sussurrò, timido.

Lei gli sorrise e gli fece un cenno con la testa, prima di tornare con gli occhi a scandagliare il cielo, anche se le luci della città rendevano difficile la visione delle stelle.

"Anche tu hai problemi a dormire?", sospirò, poggiandosi con i gomiti alla ringhiera verde bottiglia.

Lei scosse la testa e rise un po', voltandosi a guardarlo: "Ero al telefono con Matteo, sta facendo il turno di notte e ha detto che si è rovesciato una lattina di Coca-Cola addosso, per colpa mia, in qualche modo. Poi ha staccato. È strano" rise di nuovo "Mi piace".

"Sì, Matteo è strano" le gettò uno sguardo e la vide di nuovo intenta a guardare il cielo, l'espressione sognante e un sorriso leggero a piegarle le labbra. Non sapeva con esattezza cosa stesse succedendo tra lei e il suo amico e collega, ma in quel momento la vide così piccola che gli fece tenerezza e la prospettiva di vederla soffrire gli strinse il cuore, nonostante la conoscesse da pochissimo, quindi racimolò un po' di coraggio e: "Senti, Chicca, guarda che Matteo è-"

La ragazza lo interruppe, voltandosi di nuovo placida a guardarlo, con la luce gialla dei lampioni ad illuminarle viso e sorriso: "-Impegnato, lo so. Sono abituata alle cotte silenziose, non ti preoccupare."

E Simone abbassò lo sguardo di fronte a quell'ammissione semplice, come fosse stato partecipe di qualcosa a lui sconosciuto, davanti a Chicca perfettamente a suo agio con se stessa e i suoi pensieri.

"Manuel mi ha detto che siete stati insieme, al liceo" e non seppe bene  perché lo disse, che ultimamente faceva un sacco di cose senza sapere perché, forse era solo la volontà di allontanare i suoi stessi pensieri da sè.

"Sì, tu e Manuel parlate spesso, ho notato", la ragazza gli sorrise ed appoggiò il mento sul palmo della mano, mentre lo scrutava, addossata al muro.

Simone ridacchiò nervoso e si strinse nelle spalle: "Ha una chiacchiera ammirabile e irritante insieme."

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