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La luce lunare entrava bianca dalle finestre spalancate e filtrava attraverso le tende spesse, grigie, di quella stanza.
Simone stava seduto su quel letto con la guancia appoggiata al palmo della mano, annoiato.
Era lì già da un'ora e nessuno era venuto a dirgli nulla, la fasciatura alla gamba era stretta e cominciava a dargli fastidio.
Erano le nove e trenta, quando la porta si spalancò e vide entrare Manuel, con le braccia piene di quelli che sembravano snack presi al distributore.

"Ho pensato avessi fame"

Simone si lasciò sfuggire un sorriso e, in un gesto naturale, si spostò un po' sul letto per lasciare spazio all'altro.
Però la fasciatura tirò e lui strinse i denti per il dolore.
Manuel lasciò cadere gli snack sulla poltrona e si precipitò vicino a lui, abbassandosi all'altezza della gamba.
Nella stanza era buio e silenzio, e si sentivano solo i loro respiri.

"Che c'è? Te fa male? Chiamo l'infermiere?"

Gli posò un palmo sulla fasciatura e subito Simone corse a coprire la mano con la sua. Strinse, che ormai era diventata un'abitudine intrecciare le loro dita e non gli faceva più così paura.

"No, va tutto bene, sono solo stanco"

Manuel sollevò le loro mani e lo spinse delicatamente verso il letto, per farlo stendere.
Quando Simone si fu sistemato, lui prese posto in un angolino del materasso. E sembrava così lontano.

"Vieni più qui?" gli tirò la manica del giubbotto e subito l'altro cedette, avvicinandosi attento a non sfiorare la gamba ferita.

"Stai comodo?" gli sussurrò, attento, e Simone sorrise, che il modo in cui il cuore gli batteva contro lo sterno non era esattamente comodo, ma era il fastidio migliore che avesse provato in tutta la sua vita.

Lì, mentre Manuel lo guardava negli occhi, Simone si sentì incredibilmente miope, a non aver capito prima quanto fosse incredibilmente, irrimediabilmente, innamorato perso del ragazzo di fronte a lui.
Continuò a sorridergli e se lo tirò addosso, Manuel si sistemò poco sopra di lui, le labbra attaccate ai suoi ricci in un bacio perpetuo e silenzioso.

"Hai chiamato Jacopo?"

"No, ancora no", mormorò, con gli occhi già chiusi.

"Dovresti chiamarlo, Simo"

"È solo un graffio"

Manuel sbuffò soffiando su qualche riccio scuro, che subito baciò di nuovo.

"Un graffio causato da un proiettile. Quando t'ho visto là terra me stava a prende n'infarto, immagina a tu' fratello se nun glie dici niente."

Simone si sistemò meglio contro di lui.

"Tra poco mi mandano a casa e lo chiamo."

-

E fu davvero così, perché Simone dopo qualche ora era a casa sua e aveva già chiamato suo fratello, su insistenza di Manuel, che lo aveva accompagnato davanti alla porta e gli aveva pressato un bacio sulla fronte, prima di lasciarlo 'alle amorevoli cure del fratello'.

Era a letto, Simone, che comunque la gamba bruciava e gli antidolorifici dovevano ancora fare effetto, quando Jacopo irruppe nel suo appartamento e si fiondò in camera chiamandolo a voce alta.

"Se urli così dovranno ricoverare te, non me" ridacchiò Simone.

"Ma che significa che t'hanno sparato scusa??"

Simone si sistemò meglio sul letto, quando il fratello gli si avvicinò scrutando preoccupato la fasciatura.

"Mi ha preso di striscio, non mi hanno sparato"

Roma 17Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora