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Tw: a un certo punto,
Inaspettata,
🎺

La prima volta che Manuel Ferro aveva pensato io te sposo, Simone stava rassettando la camera da letto dell'ancora esclusivamente suo appartamento.
Erano una coppia di fatto da qualche mese appena e Manuel, guardandolo piegare l'orlo delle lenzuola in maniera tanto simmetrica quanto naturale, aveva semplicemente pensato io te sposo, e l'avrebbe fatto per il modo in cui arricciava le labbra quando non ricordava le parole della canzone che stava canticchiando, per il modo in cui infilava il bordo delle lenzuola blu sotto al materasso e per il modo in cui poi ogni tanto alzava lo sguardo nel suo come a dire "Sei ancora qui, siamo ancora qui", ogni giorno e ogni momento.

Lo aveva pensato altre decine e decine di volte, ma la seconda volta che il pensiero di sposarlo era diventato tanto impellente da pensare di nuovo, convinto, io te sposo, era stata durante il suo trasloco.
Che avevano deciso di comune accordo di trasferirsi insieme da Simone, che viveva in una zona più tranquilla, vicina al distretto 17 e aveva una casa più grande, più adattabile per due.
Manuel l'aveva pensato quando, una volta a casa, pieno di scatoloni da sistemare e borse da svuotare, Simone l'aveva guardato con quegl'occhi che luccicavano come stelle e gli aveva sorriso.

"Sono felice", aveva detto. E Manuel gli si era avvicinato e gli aveva preso le mani.

"Sì, amore?"

Simone aveva annuito e aveva intrecciato le loro dita, portandoselo più vicino ancora.

"Sì, perché è come se questa casa fosse fatta per due, ma non due qualsiasi, proprio per me e per te. E io e lei ti stavamo aspettando. E adesso finalmente è piena e io sono felice."

E Manuel se l'era tirato in un bacio lungo anni, si era sentito pieno e felice anche lui e aveva pensato io te sposo.

La terza volta era stata anche la decisiva, quella più concreta, perché lo aveva pensato durante una delle loro litigate. Che erano sempre battibecchi, ma ogni tanto diventavano vere e proprie liti.
E quando Simone si arrabbiava, le guance gli diventavano rosse e la fronte gli si corrucciava e si torturava tanto le mani da arrivare a staccarsi qualche pellicina che poi, puntualmente, sanguinava.

E mentre si arrabbiava con lui perché aveva fatto l'ennesima azione sconsiderata sul lavoro, senza pensare a lui, senza pensare a loro, Manuel pensava solo che Simone fosse lì con lui e non dovesse più preoccuparsi di nulla.
Il suo posto sicuro era accanto a lui, era negli occhi suoi, e pensarlo ogni giorno dopo due anni di convivenza, gli aveva fatto affiorare il solito pensiero: io te sposo.

Non che Manuel avesse mai creduto nell'istituzione del matrimonio, ma da quando stava con Simone, il pensiero di poterlo definire suo marito, di essere un unico blocco solido e di costruire con lui qualcosa di palese agli occhi di tutti, gli attorcigliava lo stomaco e quando ci pensava poteva già figurarselo nella mente, come un quadro realista, chiaro in ogni dettaglio.

E allora mentre Simone gli diceva, adirato, che: "Non pretendo che tu faccia attenzione, sia mai!, ma almeno potresti sforzarti di tornare intero a casa? Giusto un po'?!", Manuel pensò io te sposo.

-

Aveva pensato a tutto, Manuel: la proposta avrebbe emozionato Simone, lo avrebbe commosso, ed era tutto programmato nei minimi dettagli per quella sera.
Il ristorantino a Trastevere dove l'altro lo aveva portato per il loro primo appuntamento ufficiale, il tavolo riservato vicino alla finestra, perché durante la cena a Simone piaceva guardare fuori le persone che passeggiavano; persino il suo vino preferito e la serata con la musica dal vivo.
Avrebbe richiesto di suonare You're The First, The Last, My Everything di Berry White e sulle note di nobody but you and me, we got it together baby, avrebbe estratto l'anello dalla scatolina e glielo avrebbe chiesto.
Era tutto perfettamente programmato, peccato che loro, di programmato, non avessero mai avuto nulla e mai lo sarebbero stati, eterna sorpresa uno nella vita dell'altro.

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