Cinque.

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CAPITOLO CINQUE
Pregiudizi

Alice.

Per anni ho atteso questo momento. Credo sia stato uno dei motivi per cui non ho fatto di tutto per rimanere a casa mia, la curiosità che mi contraddistingue. Nei miei ricordi lui è un uomo alto, in carne, con una barba molto lunga, folta e scura, i capelli tenuti corti, anch'essi neri come la pece. Ricordo che era un po' burbero, ma gentile con me, non c'è nulla in particolare che lo distingua dal resto.
Sfrego le mani più volte e osservo ossessivamente l'orario sul display del mio telefono. Più passa il tempo, più divento nervosa. Da questo primo incontro potrebbe dipendere la qualità della mia intera permanenza in questa casa, e dire che non sento un po' di ansia da prestazione è una menzogna.
Lo so, mi sono promessa di prendere con filosofia questa esperienza, di non precludermi ogni cosa bella solo per colpa della mia testardaggine; purtroppo però, ogni scenario che immagino nella mia testa è disastroso, catastrofico. Vedo me stessa in diverse salse: ammutolisco, scoppio in lacrime, do di matto, scappo in camera o scappo di casa. Vedo lui, un uomo con le stesse sembianze di quello che ho visto per anni solo in qualche foto dimenticata, che mi urla contro, mi ignora o non fa altro che vantarsi di quello che è la sua nuova vita.

Per un attimo, un istante, un barlume di lucidità sembra attraversare la mia mente completamente obnubilata dall'ansia: se mi ha voluta qui, non sarà certo per rovinarmi la vita, sbaglio? Ma questo saggio pensiero sparisce nel nulla, con la stessa velocità con cui è arrivato. Così torno a crogiolarmi nelle tristi immagini di una conoscenza che non si doveva fare. Se fosse meglio per entrambi proseguire con le nostre vite, all'oscuro di quella dell'altro? Se fossimo due persone completamente incompatibili che possono solo farsi la guerra?
Perché mi vuole qui? Dieci anni fa non mi ha voluta più, mi ha buttata via come se fossi un giocattolo rotto, e ha deciso di prendere su le sue cose e andare a figliare in un altro stato. Perché mettermi in questa situazione scomoda?
Fino ad ora, ho vissuto come desideravo: pochi litigi con mia madre, una convivenza relativamente semplice con Zayn e suo padre, quasi completa autonomia in parecchi ambiti nonostante la minore età. Se tutto dovesse cambiare? Sono dentro la casa di uno sconosciuto che afferma di essere mio padre, ma il legame di sangue poco c'entra con la triste verità: lui non mi conosce. Come io non conosco lui o la sua nuova famiglia. E se, per quanto io mi sia promessa di dargli una possibilità, non riesco a digerire la cosa? Normalmente sono abbastanza incline ad accettare i miei errori ed eventualmente muovermi per rimediare, ma questo quando non si tratta dell'uomo che mi ha creato solo problemi, disagi che ho faticato molto per accantonare, tra cui la paura di essere abbandonata. Per questo motivo sono grata di avere persone come Thomas e Charlotte, loro mi fanno sentire sempre nel posto giusto, non starei così bene con me stessa o con gli altri. Probabilmente non sarei diventata quella ragazza che attrae inevitabilmente le altre persone, sicura di sé, anche se all'apparenza, ma molti si fermano a quella, schietta e solare. Adesso loro non sono con me, posso dire di aver perso le mie stampelle. Ora devo imparare a camminare da sola.
Al solo pensiero di Lottie e Tommy, un piccolo sorriso colmo di malinconia si fa spazio sul mio viso. Ma la loro presenza, anche se solo nella mia immaginazione, mi rinvigorisce come potrebbe fare un sorso d'acqua fresca in una giornata torrida. Mi rendo conto di aver raddrizzato le spalle, e di sentire dentro di me quel calore vivace che provo quando sono quella persona che mi piace essere. Che allieva sarei, se non dimostrassi di aver davvero imparato tutto quello che loro hanno potuto insegnarmi su come affrontare la vita?
Ed è proprio con questo spirito che mi alzo dal comodo divano quando sento il portone di casa aprirsi e richiudersi. Faccio un respiro profondo e mi striscio i palmi delle mani sui jeans, per poi dirigermi verso l'ingresso.

L'uomo che entra nella mia visuale è quasi l'esatto opposto di qualunque cosa potessi ricordare. Immagino che dieci anni siano davvero un'enorme quantità di tempo. Alto, un fisico asciutto con qualche accenno di muscoli chiaramente curati in palestra, i capelli corti freschi di barbiere così come la rasatura sul suo viso. Indossa un paio di pantaloni blu marino di taglio elegante ma estivi, una camicia bianca di cotone con le maniche arrotolate al gomito e ai piedi delle... vans?
Lo osservo, e incrocio il suo sguardo. I suoi occhi sono così scuri, che da questa distanza sembrano neri. Nessuno parla. Vedo sul suo viso transitare diverse emozioni, alcune chiare, come la sorpresa e il nervosismo, altre impercettibili. Ho passato talmente tanto tempo a guardare Lie To Me* che mi infastidisce da morire l'incapacità di decifrare la miriade di sfumature dei suoi occhi. Che situazione imbarazzante, due persone che si squadrano e si studiano così apertamente senza proferire parola. Il suo sospiro rompe quella tensione, e mi rendo conto di aver trattenuto il respiro per la maggior parte del tempo. Ho talmente tante emozioni che galoppano nel mio cervello che mi sembra di non provare niente: né gioia, né tristezza, neppure rabbia o odio. Solo il più puro stupore.
«Chiedo scusa,» Deglutisce. «non avevo idea di cosa aspettarmi.» dice incerto, tentando poi di ricomporsi. Dalla mia parte, non ho la capacità di riprendere possesso delle mie facoltà mentali, mi sento in balia delle onde in una barca alla deriva. Ancora silenzio. Mi immagino una scimmietta che sbatte con insistenza i piatti nel mio cervello, questo è tutto quello che sento dentro.
Poi senza nemmeno accorgermene e avere il tempo di metabolizzare, mi trovo stretta tra le sue forti braccia, un leve fremito attraversa il suo corpo. Non riesco a ricambiare l'abbraccio, un po' per la mia avversione per gli abbracci agli sconosciuti, un po' per la sorpresa, un po' per la suddetta scimmia che ha deciso di metterci ancora più forza nel suonare quei piatti. Il tempo sembra procedere a rallentatore, per quanto tempo rimane abbracciato a me? Secondi? Minuti?
Quando mi libera dalla sua stretta, lo vedo visibilmente imbarazzato, con le gote leggermente arrossate, lo sguardo basso e la postura incurvata. «Mi dispiace, non... volevo metterti a disagio...» mormora facendo un passetto per allontanarsi da me.
«Non fa niente» È l'unica cosa che riesco a dire. Che oratrice, Alice!
Solo ora sento un calore inimmaginabile montarmi dentro. Le mie guance devono essere del colore dei pomodori maturi, e probabilmente ho gli occhi lucidi, anche se spero che lui non lo noti. La scimmia è stata spazzata via dal fiume di domande che avrei da porgli, ma pare che in questo momento il collegamento cervello-bocca sia guasto.
«Immagino che avremo molte cose di cui parlare. Ma prima, mi piacerebbe davvero mettere qualcosa sotto i denti, sto morendo di fame.» mi dice accennando un sorriso amichevole.
Annuisco appena, e insieme ci dirigiamo nella cucina. Lui sembra tornato a suo agio, disinvolto e padrone di se stesso, completamente trasfigurato rispetto all'uomo scioccato di qualche minuto fa. Mi fa scegliere tra alcuni cibi e quindi inizia a cucinare. La cosa mi stupisce perché immaginavo avessero anche un cuoco o un governante o qualcuno di simile, invece mi trovo una cucina con mio padre che mi cucina il pranzo.
Non parliamo molto, lui è impegnato nella preparazione e io non so cosa dire. Mi dice che sono stata fortunata ad aver beccato una giornata così bella e soleggiata: come avevo sentito, qui spesso c'è brutto tempo. Poi mi da qualche informazione generale sulla scuola, scopro di dover incontrare il preside il venerdì prima dell'inizio delle lezioni perché mi possa accogliere e conoscere, così sarò poi libera di iniziare con tutti gli altri il lunedì successivo. Non che abbia avuto molto tempo di pensare alla scuola, però non mi sarebbe piaciuto fare la scena della nuova arrivata come succede nei film, quella che interrompe la lezione a metà accompagnata dal preside, che sfila davanti ai compagni per accomodarsi nell'unico banco vuoto.
Una volta pronto il pranzo, ci mettiamo a mangiare e con piacere scopro che è un ottimo cuoco, la pietanza è squisita e mi fa dimenticare per un momento il nodo allo stomaco che mi sta provocando questa situazione, mangio tutto con gusto; lui deve averlo notato perché mi spiega che ama cucinare e che lo fa spesso, anche per gli ospiti. Solo qualche giorno hanno qualcuno che lo fa per loro, quando sono molto impegnati, quando hanno molti ospiti oppure quando vogliono godersi del tempo in famiglia.

Mi rabbuio improvvisamente a quella parola: la tua nuova famiglia. Con noi queste cose non esistevano. Ora la sento, la rabbia. Con fatica, cerco di trattenere l'istinto che ho di far uscire tutto quello che mi sto tenendo dentro.
«Non pensavo ti importasse qualcosa della famiglia.» sputo acida portando lo sguardo su di lui. Sembra non essere toccato dal mio commento e la cosa mi infastidisce, volevo provocare una reazione, una qualunque.
«Lo capisco, che mi odi intendo.» inizia a parlare, posando la forchetta al lato del piatto e appoggiando la schiena alla sedia. «Rispetto questa cosa, rispetterò i tuoi tempi, ma sappi che per me la famiglia è importante, tu come loro.»
Noah Gray è una sorpresa. Mi aspettavo tante cose, ma non una risposta del genere; l'uomo che ricordo io probabilmente si sarebbe arrabbiato molto e avrebbe alzato la voce. Questa persona che ho davanti, invece, ha inconsapevolmente saputo come rassicurarmi, nonostante io abbia ancora molto da dire. Decido di togliermi un dente.
«Mi è difficile da credere, dato che ci hai abbandonate come se non valessimo nulla.»
Si rabbuia. Bingo. Si passa velocemente la lingua sulle labbra e abbassa lo sguardo. «Incasserò le tue accuse, vorrei che tu ti fidassi di me e ti prometto che lavorerò sodo per guadagnarmi la tua fiducia. Vorrei che tu mi conoscessi, senza pregiudizi, allora parleremo e risponderò a tutte le tue domande.» La sua mano si fa strada tra i capelli, scompigliandoseli appena con un gesto nervoso. È davvero un bel uomo, e improvvisamente ho la forte curiosità di conoscere gli altri due componenti di questa famiglia. Dopo una breve pausa riprende. «So che sarà una strada in salita, ma possiamo provarci?»
Sono colpita dalla maturità di questo sconosciuto, in nessuno dei miei scenari accadeva una cosa simile. Mi sento in colpa ora, per aver tentato deliberatamente di ferirlo; mi rendo conto che devo mettermi al suo livello se voglio avere delle risposte serie. Non servirà a niente essere cattiva. Sono ancora furiosa, credo che ci vorrà diverso tempo per farmi passare l'astio, ma mi sta chiedendo di provare a dargli una seconda chance, mi sta chiedendo una tregua, per mostrarmi chi è.

Mi sta inconsapevolmente chiedendo di tener fede a quella promessa che mi sono fatta la mattina scorsa in camera mia. Devo imparare dai miei errori. 
Annuisco, sperando di non rimanere delusa.

Alla luce del sole. ~ H.S. (In pausa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora