Quattro.

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CAPITOLO QUATTRO
Nuove conoscenze

Alice.

Oggi a Londra è previsto bel tempo, ma da quello che so spesso è grigio e piove. Forse anche il tempo atmosferico si prende gioco di me ora. Cammino a passo spedito per il corridoio principale. Mia madre mi ha detto che mi aspetteranno in aeroporto. Ma saprò riconoscere mio padre? Chissà quanto sarà cambiato dall'uomo che ricordo io... Continuo a camminare per l'ampio corridoio e mi stupisco notando un uomo vestito di tutto punto che tiene un foglio in mano con scritti il mio nome e il mio cognome. Mi avvicino a lui che mi squadra. «Lei è la signorina Gray?» mi chiede cordialmente piegando in quattro il foglio. Annuisco, lui mi prende le valigie accompagnandomi verso l'uscita intanto si presenta.
«Io sono George Jefferson, l'autista di suo padre signorina Gray. Lei mi può chiamare Jeff.» lo guardo interessata, quanti soldi deve avere uno che si può permettere un autista? «Suo padre è al lavoro signorina, ma mi ha chiesto di informarla che sarà di ritorno verso l'ora di pranzo.»
Arriviamo ad un auto nera, una Range Rover. "Mio padre ha i soldi che gli escono dal culo." penso aiutando George o Jeff o come voglio chiamarlo a caricare le valigie nel baule spazioso. Salgo nei sedili posteriori, estraggo il mio telefono dalla borsa. Jeff o George sale davanti e mette velocemente in moto l'auto.
Il silenzio che cala nell'abitacolo è alquanto imbarazzante perfino per me perché sento che dovrei fare un milione di domande ma mi sto limitando a tacere. Mi decido ad iniziare una conversazione destinata a finire presto.
«Quanto dista ancora casa?» chiedo a Jeff, che ci pensa su prima di rispondere.
«Non molto, signorina Grey.» annuisco consapevole del fatto che mi sta guardando dallo specchietto retrovisore.
«Mi può parlare di mio padre, Jeff?» chiedo appoggiando il cellulare di fianco a me. Lui comincia a illustrare la sua personalità ma non riesco a fare un quadro del suo aspetto. Mi racconta anche alcuni episodi della sua vita lavorativa e poi passa a parlare della moglie e del figlio. Il tempo trascorso in macchina non è noioso, tutt'altro, Jeff è molto dettagliato nella descrizione della signora Gray e del "signorino" Gray. Arriviamo alla casa poco dopo e, a dire la verità, chiamarla casa è un errore, è una villa e immagino con piscina. Un'ombra di malinconia cala sul mio viso al ricordo di tutte le giornate indimenticabili passate nella piscina dei Davis.
Il cancello si apre, Jeff percorre il vialetto ciottolato fino ad arrivare al garage. Mi chiede di scendere così io apro lo sportello, scendo dalla macchina e mi allontano un po' lasciandolo parcheggiare e osservando il giardino. È molto grande, sembra che prosegua anche dietro la casa, un piccolo sentiero sempre fatto di sassi porta alla scalinata in cima alla quale si trova la porta. Ci sono cinque alberi sistemati in modo asimmetrico nel giardino, due davanti e tre dietro e offrono un ampio spazio ombreggiato. Su uno di questi alberi si intravede una casetta incastrata tra i rami, mi sa che più tardi farò un giro per il giardino. Jeff scarica le valigie e me le porta dentro casa, entro anche io.
L'interno non è interamente placcato in oro ma ha l'aria di essere tutto terribilmente costoso. Nell'entrata c'è, oltre ad un tappeto beige e due attaccapanni appesi ai lati del piccolo corridoio, un ripiano ordinato e perfettamente spolverato sulla sinistra sul quale sono disposte varie chiavi con la propria targhetta insieme a un soprammobile a forma di gatto, sulla coda lunga di questo sono infilati alcuni braccialetti. Davanti a me, poco più avanti, c'è una scalinata che probabilmente porta alle camere e al piano di sotto. Ci sono due spazi aperti appena prima dell'inizio della scala, mi avvicino e entro a destra.
Davanti a me si apre un ampio salotto, un caminetto spento sulla sinistra della stanza, un enorme TV, dei divani formano una "U" davanti ad essa. Ci sono quattro finestre che eseguono alla perfezione il loro compito di illuminare completamente la stanza, nonostante il sole sorto da poco. Decido di entrare nella stanza di fronte, una sala da pranzo simile al salotto, anche questa piena di finestre con un grande tavolo al centro. Mi prendo del tempo per gironzolare per la casa, facendomi un'idea dell'ambiente in cui ora vivo. Jeff nel frattempo ha già portato le mie valige nella camera e, dopo avermela indicata, è scomparso. Entro finalmente nella stanza in cui dormirò, noto con piacere che non è del tutto inadatta a me: l'arredamento è tutto bianco e nero, sarebbe perfetto se i muri non fossero dipinti di rosa perlato, l'armadio è più grande di quello che avevo a casa. La stanza in generale è molto luminosa, come il resto della casa. La pecca più grande che trovo è la mancanza di uno specchio, dovrò dirlo con mio padre.
Mi siedo sul letto, prendo le auricolari dalla tasca, le collego al cellulare e faccio partire la musica. Mi stendo dopo essermi tolta le scarpe e chiudo gli occhi. Sono in Inghilterra, non ci credo di essere davvero a così tanti chilometri da casa, fatico a credere che tra me e i miei amici ci sia un oceano.

Alla luce del sole. ~ H.S. (In pausa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora