Tredici.

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CAPITOLO TREDICI
Inviti

Alice.

Il suono della sveglia interrompe il mio sonno senza sogni. Mi rigiro tra le coperte, poi mi sporgo per spegnerla. Il mal di testa è peggiorato, mi sembra che il cervello sia in procinto di spappolarsi; sento gli occhi doloranti, sicuramente sono gonfi come palloncini e dubito che un po' di trucco riuscirà a nascondere il disastro.

Osservo il soffitto e mi chiedo se sia una buona idea quella di andare a scuola oggi. Potrei rimanere a casa a recuperare alcune materie, pranzare con qualcosa cucinato dalla domestica e rilassarmi il pomeriggio. Non vorrei che qualcuno mi veda così.

Mi porto le mani alla faccia e soffoco un urletto esasperato. Credo di avere ancora un esaurimento nervoso in atto, non mi è mai capitato e ora non so gestirlo. Maledizione.

Ieri sera ho finto un malessere, mi sono chiusa in camera e ho saltato la cena. L'unica cosa che ho fatto è piangere e scrivere, per poi addormentarmi per lo sfinimento fisico e mentale. Ho provato a mettere nero su bianco i miei sentimenti, ma ancora una volta mi confermo incapace di spiegarli. Ripenso alle pagine piene di scarabocchi e lacrime, ho provato a rileggerle ed erano solo un flusso di coscienza; come potrebbe una persona che non sono io carpire qualche informazione sensata da ciò?

Decido di alzarmi e andare a lezione perché non voglio domande da parte della famiglia e non voglio rischiare di piangermi addosso tutto il giorno. Mi guardo allo specchio e la figura che risponde al mio sguardo non posso essere io. Sono in condizioni veramente pietose, ho gli occhi gonfissimi e le occhiaie; per un momento rivaluto la mia decisione, poi però mi dirigo in bagno a sciacquarmi la faccia.

Metto un paio di gocce di collirio sperando che faccia qualche miracolo dunque mi metto un filo di trucco. A lavoro ultimato mi osservo e posso constatare che poteva andare peggio.

Torno in camera per vestirmi e sistemare lo zaino, poi scendo e trovo Nathan e Dalila al tavolo per la colazione. Mi infilo in cucina per prendere qualcosa da mangiare e un antidolorifico e li saluto subito dicendo che dovevo vedermi con un amico e che avrei mangiato per strada poi esco in fretta. Spero che Dalila non si sia accorta di nulla.

Mangio con fatica la mia barretta mentre cammino pigramente verso l'edificio scolastico. Sento lo stomaco attorcigliato, lascio metà della mia povera colazione: nonostante io abbia saltato la cena, il mio fisico non ne vuole sapere nulla di ingerire del cibo.

Una volta nel cortile della scuola, mi siedo nel muretto di ieri e apro la fotocamera nel telefono per controllare il mio aspetto. Gli occhi sono ancora leggermente gonfi ma dubito che un'occhiata superficiale lo possa notare, perciò posso ritenermi soddisfatta. L'unico problema che rimane è il cerchio alla testa che non sembra volersene andare nonostante la medicina.

Chiudo gli occhi e mi massaggio le tempie per cercare di alleviare il dolore. Sono arrivata prestissimo a causa del fatto che ho saltato la colazione, sfilo il libro che sto leggendo dallo zaino e riprendo la lettura ma mi tocca riporlo poco dopo perché fatico a mettere a fuoco le parole.

Vedo Jude entrare nel cortile, in anticipo come al solito: oggi ha i dread un po' raccolti e un po' sciolti, è vestito tutto di nero col suo solito giubbotto bianco e rosso. Accenno un sorriso nella sua direzione anche se non capisco se mi ha vista a causa degli occhiali da sole che indossa nonostante il tempaccio. Mi fa un cenno con la testa e si avvicina, accomodandosi di fianco a me.

«Stai bene?» mi domanda dal nulla. Che si sia accorto degli occhi gonfi? Eppure ho controllato, erano a posto, e lui non mi ha guardata da abbastanza vicino per potersene davvero accorgere. L'altra opzione è che me lo stia chiedendo casualmente, ma non mi pare una domanda da lui.

Alla luce del sole. ~ H.S. (In pausa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora