Nove.

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CAPITOLO NOVE
Incontri e scontri

Alice.

Esco dalla metropolitana e guardo finalmente i cartelli. Brixton, ecco dove sono finita.

Attorno a me è pieno di villette in mattoni a vista, in tradizionale gusto londinese, con le rifiniture e gli infissi bianchi, le finestre leggermente sporgenti e un giardinetto davanti con alcuni alberi. C'è molta gente in giro, sempre meno di quella in centro. Inizio a passeggiare ascoltando il frastuono del traffico.

Attraverso un parco quasi deserto, immagino che i bambini piccoli siano ancora a scuola. Qui ci sono molte aree verdi, è rilassante passeggiarci in mezzo e ascoltare i suoni della natura; estraggo il telefono dalla tasca e controllo i messaggi sperando in uno di Thomas ma trovo soltanto messaggi in gruppi di cui non mi curo e qualche messaggio da Tania e Richard.

"Non voglio disturbarti, ma non riesco a parlare con Thomas, non è che tu lo hai sentito? Siamo preoccupati..." da Tania.

"Non dirlo a Tania e a Charlotte, ho sentito Thomas e sta bene ma non vuole parlare, né con me né con nessun altro" da Richard.

Sento un tonfo al cuore a leggere queste parole. Ho bisogno di chiamarlo, di sentire la sua voce, così faccio partire una chiamata, senza però sperare in un successo. Dopo l'ennesimo suono, chiudo la chiamata e sospiro sconsolata. Mi manca così tanto.

Rispondo brevemente ad entrambi per poi scrivere a Charlotte per accertarmi che stia bene.

«Attenta!» sento urlare poco prima di essere colpita violentemente da un pallone da calcio sulla spalla; l'impatto mi fa scappare di mano il telefono che cade tra i cespugli di fianco a me. Mi massaggio la spalla contusa, mentre osservo un ragazzo dai capelli biondissimi tirati in alto con il gel corrermi in contro per recuperare la palla. «Ti sei fatta male? Non mi è mai capitato di sbagliare così un tiro.»

«No, no, tutto bene.» borbotto tastandomi la spalla. Che botta. Lui si scusa ancora, protraendosi verso il cespuglio per recuperarmi il telefono, poi me lo allunga con l'ombra di un sorriso di scuse sulle labbra. Ha lo sguardo molto serio, il viso appuntito contribuisce a conferirgli un'aria altera.

«Axel, comunque.» mormora raccogliendo da terra il pallone e posizionandoselo sotto braccio.

«Alice. Giochi a calcio?» domando, osservando il suo abbigliamento casual, felpa e jeans.

«Sì, nella squadra della scuola.» Mi squadra dalla testa ai piedi. «Sei della King tu?» Annuisco. «Non ti ho mai vista da queste parti.»

«Mi sono trasferita da poco, oggi è stato il primo giorno.» gli dico ripassando le facce che ho incrociato oggi, nel vago tentativo di scoprire se per i corridoi ho visto anche lui, ma non mi dice nulla.

«Curioso, trasferirsi l'ultimo anno, intendo.» mormora pensieroso. Sul mio viso sono sicura che sia appena transitata un'ombra di tristezza, ma dovrei essere stata abbastanza reattiva da mascherarla senza darlo a vedere. «Dove abiti?»

Gli rispondo senza dargli un'indicazione precisa, un po' per diffidenza, un po' perché non so esattamente come spiegarglielo. La chiacchierata si dilunga, è una persona estremamente controllata, nel tono, nelle movenze, e riservata, infatti anche le sue risposte sono sempre vaghe come le mie. Trovo strana questa conversazione nata così dal nulla, ma è sicuramente piacevole perché mi sono accorta che la tristezza per i problemi a casa è svanita per qualche attimo.

«Devo andare, ho gli allenamenti, ma se sei nei paraggi passa di qua, io ci sono quasi sempre.» mi dice prima di voltarsi e incamminarsi facendo un cenno con la mano a mo' di saluto. Lo guardo allontanarsi senza proferire parola, appena sparisce dietro l'angolo riprendo il telefono e riprovo a chiamare Thomas.

Alla luce del sole. ~ H.S. (In pausa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora