15.

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Non sapevo se era giunta la mia ora, sentivo un immenso calore e una luce fortissima bianca, chissà se era il così detto Dio che tutti vedono dopo la morte ed era qui per me.
Mi accorgo di che luce si trattasse, non era dio, ma bensì le porte degli inferi per spedirti all'inferno: l'ospedale.
Dovevo saperlo, conoscevo quei posti, ci passai infiniti mesi dopo la mia ricaduta e ho molte familiarità tra quelle mura dai colore spesso neutri laddove dovrebbero trasmetterti serenità, ma per me come molti altri metteva soggezione, anche se è stato il posto in cui io mi sia sentito più al mio agio negli scorsi anni avvenire.
Inizio a sentire un forte mal di testa una volta preso di nuovo conoscenza, sentivo il mio stomaco distrutto e subito mi ritorna in mente quei tre ragazzi che mi avevano pestato a sangue, non era una novità che esistessero chi dissente l'amore in tutte le sue forme, ma non al punto di provare piacere nel distringere le cose come ho ben visto nei loro occhi, non mi avevano fatto nulla di nuovo, ero già addestrato a questo tipo di cose, almeno psicologicamente parlando, fisicamente un po' meno.
«Sono morto?» Domando a chiunque fosse lì presente in quella stanza.
«Purtroppo no» sento una voce maschile. Era Simón.
«Margaret, tu figlio si è svegliato!» sento urlare il marito di mia madre.
«Oh Dio, menomale, come stai?» Mi si fionda a capofitto sul mio collo.
«Togliti mamma, che mi fai male» le dico per far finire quella scena pietosa e scusandosi si sposta.
«Possiamo andarcene da qui, oppure devo morirci?» Domando già esausto di aver riaperto gli occhi nel mondo dei vivi.
«Per fortuna non hai riportato gravi danni fisici, solo una mano fratturata che in un mese guarirai, entro stasera potremmo ritornare a casa» dice mi madre continuando ad accarezzarmi i capelli. Odiavo tutto ciò e volevo farla pagare a quei bastardi omofobi.
«Non essere compiaciuto Giordan, tornati a casa dovremmo parlare di un paio di cose e sappi che ci saranno gravi conseguenze.» aggiunge. Avevo già intuito, ma farò finta che non sia ciò che penso.

Era giunta la sera, pronti a tornare a casa e cercare di sfuggire a mia madre una volta varcata la soglia con scarsi risultati.
«Non così in fretta!» quasi urla.
Ormai non avevo via di scampo e contrariarla mi avrebbe soltanto condannato di più.
Pensavo volesse sgridarmi, ma inizia ad avventarsi su di me riuscendo a sfilarmi la maglietta da dosso, mostrando le mie cicatrici e vedere gli occhi di mia madre riempirsi di lacrime. Me ne vergognavo, non volevo vedere mia madre soffrire così.
«Ho solo una domanda, perché? Perchè Giordan!» Inizia a dare sfogo alle sue lacrime che senza vergogna mostra, come a farmi sentire in colpa e c'è riuscita.
«Mamma, io...» riesco a biascicare. Non riuscivo a piangere, anche se i miei occhi bruciano più di ogni mia ferita afflitta.
«Da domani torni dalla psicologa.» dice le sue ultime parole famose prima di lanciarmi la maglietta e andare nella sua camera da letto.
Mi sentivo umiliato da quel gesto e sentivo un'altra parte di me spezzarsi per il dolore che ho recato.

Il giorno seguente tornai a scuola, mi aveva accompagnata mia madre, anche se possiamo considerare che era più un obbligo, voleva tenermi d'occhio.
Tra la preoccupazione dei miei compagni, i professori e la preside stessa della mia scuola, mi accorgo dell'assenza di Josh, che in me ha lasciato un dispiacere immenso.
Avrei preferito che restasse al mio fianco lottando per i nostri diritti, ma ha preferito lasciarmi lì, in pasto ai lupi. Gesto al quanto inaspettato, oltre che egoista.

Mi ero dimenticato totalmente del mio migliore amico che è dovuto, a malincuore, ritornare a casa sua senza neanche poterlo salutare oppure chiacchierare un po' prima di lasciarmi qui da solo, in questa gabbia di matti.

Era l'ora di accontentare mia madre andando dalla psicóloga, magari rendeva più sicura lei, di certo non me.
Stavolta prendo le scale, ci mancava un altro incontro con Ethan in ascensore, volevo mettere fine a questa storia, dovevo allontanarlo.
«Ciao Giordano» attira la mia attenzione la dottoressa Raily.
«Mi chiamo Giordan senza la O» le ricordo marcando la vocale. Non era poi così difficile eppure anche mia madre preferisce mettergliela, come se non avesse importanza.
«Si certo, scusami» Ribatte.
«Senti Giordan, volevo parlarti di Ethan» aggiunge attirando totalmente la mia attenzione. Sapeva che io e lui ci frequentavamo? Non lo so, ma devo assolutamente già capirci qualcosa.
«Mi dica» rispondo pronto ad ascoltare le sue parole.
«Be', non c'è molto da dire, non è nella mia etica insomma parlarne con un mio paziente, ma penso io debba metterti in guardia, non voglio entrare nei dettagli e specialmente evita di fare accenno a lui stesso di questa nostra conversazione» Dice sistemandosi gli occhiali al naso. Continuavo a non capire.
«Ciò che cerco di dirti Giordan è che devi stare molto attento» aggiunge intuendo la mia perplessità.
«Attento a cosa?» Domanda una terza voce.
«Oh, Ethan, penso siano cose che non rientra nei tuoi interessi, una cosa personale, dopo tutto sono la psicologa no?» sdrammatizza la Raily accompagnata da una risata nervosa e imbarazzata.
«Certo, spero allora che Giordan abbia capito e starà attento» risponde Ethan.
«Ci vediamo dentro allora ragazzi» saluta la psicologa entrando nel suo ufficio lasciandoci da soli.

«Di che parlavate?» domanda incuriosito. Non sapevo se dirglielo o meno.
«Nulla, per la mia insonnia» mento.
«Okay, come stai?» Chiede sporgendosi a me per darmi un bacio che rifiuto.
«Sto bene, ma devi lasciarmi in pace, evita di mandarmi messaggi, evita di starmi addosso e soprattutto dimentica ciò che c'è stato tra di noi» dico non preoccupandomi dei suoi sentimenti. Vedevo il suo sguardo incupirsi e raggiungere l'apice della sua pazienza, quando afferra il mio braccio fasciato, stringerlo con violenza.
«È per quel ragazzo vero? Dovevo immaginarlo.» domanda stringendo la presa su di me. In corridoio non c'era nessuno, eravamo da soli.
«Mi stai facendo male» biascico, riuscendo a spintonarlo via lontano da me.
Mi avvicino a lui violentemente, prendendolo dal colletto della sua t-shirt.
«Se ti azzardi nuovamente a mettergli le mani addosso, ti uccido» lo minaccio. Volevo spaventarlo, stava diventando insistente e anche oggi si è dimostrato violento.
Non disse neanche una parola per tutto l'arco della seduta con la Raily, penso abbia capito perfettamente che deve tenersi a debita distanza da me. Non avevo bisogno più di lui, specialmente dopo l'aggressione, sarebbe stata una tortura personale continuare a giocare con lui.
Raggiunto l'ora che determinava la fine, raggiungo la psicologa nel suo ufficio, volevo sapere di più.
«Senta, pochi giri di parole, in cosa mi sono andato a cacciare?» domando ormai determinato a sapere tutto.
«Te l'ha fatto lui quei lividi al collo, vero?» Risponde con espressione stanca e preoccupata.
«Si!» rispondo.
«Deve essere una cosa diplomatica, non deve sapere di questa conversazione» aggiungo per puntualizzare e dare l'incentivo per dirmi ciò che volevo sapere.
«È un sociopatico Giordan, potrebbe perdere le staffe e indurti a cose più grandi di noi. Penso si sia aggrappato a te e ti vuole a tutti i costi. Non esisterebbe ostacolo che lui non riuscirebbe a risolvere con la violenza, spero ti possa renderti conto e prendere atto delle mia testuali parole. Sta lontano da quel ragazzo oppure non ci sarà nessuno che possa salvarti» dice la donna di fronte a me con ormai la gola asciutta.
«Mi scusi, sta dicendo che potrei rischiare la vita per una persona malata di mente e che è a piede libero come se nulla fosse?» chiedo ormai convinto che non riuscirò a liberarmi di lui.
«Ascolta, lui non fa semplicemente delle sedute, prende o prendeva le sue medicine per stare calmo e controllare questi suoi impulsi e seguito, ma sta iniziando a preoccupare anche i suoi genitori e prendere in considerazione di farlo rinchiudere in una struttura apposita per lui» sicuramente si riferiva ad una psichiatria.
Resto senza parole da esprimere, non so quali rischi incombono nei miei giorni, potrei ritrovarmelo qui fuori che aspettava me.
«Starò attento, penso di poter gestire la situazione, faccia il suo dovere da strizza cervelli e cerca di farlo rinchiudere in un posto per gente come lui» riesco a dire con disprezzo.
«Non essere duro è una persona come noi e come ognuno di noi ha i suoi problemi» proferisce ed io non rispondendo più esco da quella maledetta struttura che al posto di aiutarmi mi causava altri problemi che avrei dovuto risolvere da solo.

Fuori c'era mia madre, dovevo aspettarmelo era ormai la mia ombra che anche al calar del sole era evidente incollato al me.
Quasi arrivati a casa noto qualcuno sul portico, era Josh fuori dalla mia porta e con quale faccia tosta si presenta qui dopo quello che ha fatto.
«Buonasera signora Hallen, avrei da dire qualcosa di importante a Giordan» Saluta mia madre che in sua risposta ride.
«Ciao a te, cinque minuti, neanche un secondo di più» dice mia madre ancora ridendo entrando in casa.
«Perché si è messa a ridere?» domanda con perplessità.
«Mia madre si è sposata con un altro uomo, il cognome di mio padre non le appartiene più» lo informo della figuraccia che ha appena fatto, facendolo arrossire.
«Che vuoi Josh?» domando ritornando serio.
«Si, giusto, volevo scus-» stava per terminare la frase.
«No Josh, non farlo e arriva al dunque!» Esclamo interrompendolo. Non volevo nessuna scusante o tanto meno che provasse compassione nei miei confronti.
«Volevo darti questo, fanne ciò che vuoi di queste informazioni» Torna serio in viso e mi porge una busta, con dentro sicuramente delle schede.
«Okay, adesso vattene» Dico con amarezza e fermezza. Ero curioso di aprire quella busta, lo ammetto, ma volevo fargliela pagare per le sue azioni.
Lo vedo allontanarsi sempre di più, fino a sparire superati i due isolati dopo casa mia.
Salgo in camera mia chiudendomi la porta alle spalle con cautela. Da quando mia madre ha saputo dei miei nuovi tagli vuole che io tenga anche la porta aperta.
Mi siedo ai piedi del letto, pronto ad aprire quella busta che poco prima mi ha dato Josh, sembrava contenesse qualcosa di importante, non potevo aspettare un secondo di più e la apro prima che qualcuno possa entrare nella mia stanza.
Estraggo dei fascicoli di persone, erano le persone della aggressione: i loro nomi, età è tutto ciò che c'era da sapere.
Tra questi c'era la foto di una persona a me più che familiare, che non c'era quel giorno.
Sentivo formicolarmi le mani, il cuore accellerava sempre di più e la mia mente elaborare più del dovuto, quale collegamento poteva mai esserci tra queste quattro persone e perché lui? Perché Simón?

The Rose Of A LiarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora