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Il primo giorno di scuola è andato in modo ordinario, nulla di esclusivo, dopo le lezioni qualche compagno ha tentato di approcciare con me, ma ho fatto intendere che non ero predisposto a nuove conoscenze, non volevo nè amici e nè tanto meno affezionarmi a qualcuno, mi conosco, anche se ho gradito il bel litigio di due ragazzi in cortile, durante la pausa tra le lezioni, che a quanto pare quest'estate si portavano a letto la stessa ragazza senza saperlo, -eh brava la ragazza che si è data da fare quest'estate- pensai.
Io non ho neppure avuto l'opportunità di uscire per visitare Seattle essendo stato impegnato con il trasloco che ha rubato il poco lasso di tempo di libertà che mi rimaneva.
La cosa che invece non mi ha dato quiete furono quegli occhi azzurri che mi scrutavano dalla testa ai piedi, dandomi alquanto impaccio devo dire, troppo azzurri? Non lo so, però hanno un qualcosa di stimolante, come se nascondessero qualcosa che deve essere riportato alla luce. Un mio simile? Non credo, lui ha amici con cui parlare, sicuramente una vita migliore della mia ma non mi era mai capitato, è bastato un solo sguardo per avvertire qualcosa di non positivo, ma d'altro canto, il suo aspetto ne da tutta l'aria, sarà stato il giubbotto in pelle ricoperto di borchie sulle spalle? gli anelli che indossava? oppure il piercing al naso? l'ho squadrato bene direi, intrigante, forse la prima cosa interessante che mi sia capitata da quando sono qui a Seattle anche se mi sono trasferito qui a luglio.

Do una sciacquata veloce al mio corpo, pulisco con la mano lo specchio appannato e resto a guardare il mio riflesso, mi capita spesso, di guardarmi e vedere un mucchio di difetti. Ho passato la mia infanzia sempre fuori, fino all'età di sette anni quando tutto ebbe inizio, mi sentivo in costante rifiuto con me stesso, pensando che l'omosessualità fosse solo una malattia, che era ed è ciò che dice Simon, dopo avergli chiesto il perché due maschi si stessero baciando in TV, come se fosse un ingiuria essere gay, e per giunta senza che io mi sia aperto a lui da quel momento non fa altro che insultarmi, umiliandomi e disprezzando la mia persona. Ciò ha fatto sì che la mia vita avesse uno squilibrio, mi faceva sentire sbagliato, privandomi della voglia di mangiare, di avere contatti col mondo esterno e di vivere a mia scelta; sentivo il mio corpo indebolirsi e la mia mente diventare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.

Passo una mano sul petto, toccando le ossa della mia gabbia toracica, la depressione ha segnato la mia vita, non solo le braccia ricoperte di cicatrici, ma anche dentro,chissà quando avrò un riscatto e risalire dal buio che al momento mi avvolge.
Scendo in cucina, mia madre non era presente, ma c'era il mio problema più grande: Simon.
Mi guarda con occhi pieni d'odio e mi prende dalle spalle, stringendo lievemente.
«Bastardo, devi smetterla di metterti tra me e tua madre, quando è ritornata a casa abbiamo litigato, per colpa tua» dice a denti stretti stringendo più forte. Sentivo bruciarmi dentro, non riuscivo neanche a parlare, lo guardo fisso negli occhi, con i miei lucidi.
Molla la presa e con uno strattone mi scaglia contro il pavimento in legno, sbattendo la faccia sul ripiano della cucina.
«E se racconterai qualcosa a tua madre, ti ucciderò» mi minaccia, ma io senza proferire parola, mi alzai andando al bagno, avevo una guancia ricoperta di sangue, con le lacrime agli occhi mi ripulisco la faccia, avevo un graffio, nulla di esagerato per fortuna, tiro su con il naso e mi dirigo verso la mia camera.
Avevo paura, non di lui, ma di far star male l'unica persona che mi rimaneva, mia madre, seppur condizionata da quell'uomo, non voglio che stia male. Ero già la causa di ogni suo problema.

Mia madre mi aveva chiamato per cena, ricevendo un rifiuto da parte mia dicendole di non avere fame, anche perché la maggior parte delle volte il mio corpo rifiutava il cibo, sopratutto essendo nervoso il mio stomaco avrebbe di sicuro rigettato tutto e un giro in bagno non mi andava per niente, quindi stare nella mia stanza era l'unica soluzione plausibile per non peggiorare le cose.

Aspiro l'ultimo tiro e getto la mia sigaretta ormai consumata, dovrei moderarmi, ho proprio un brutto vizio, ma è uno dei pochi sfoghi che mi tiene impegnato quando sono nervoso e lo sono spesso, soprattutto se di mezzo c'è quello stronzo bastardo di Simon.
Sono rimasto con i piedi a penzoloni sulla finestra perdendomi nel buio della notte restando ad osservare la luna, uno spettacolo. Chissà se anche lei, pure avendo le stelle attorno si senta da sola, come me.

Avete presente quando schiacciate una formica solo perché vi disgusta? soltanto perché è un insetto? sapendo che non potrà mai farci nulla essendo piccola, indifesa e soprattutto innocua?
Bene, adesso vi invito a riflettere, molti di noi siamo delle formiche, e il resto, la famiglia, gli amici, la scuola e la vita in generale è quell'enorme scarpa pronta a distruggere la nostra esistenza, ecco la mia è Simon, pronto a volermi schiacciare, in quel caso hai poche scelte ed io sto vacillando, rendendogli tutto più facile, ma restando pur sempre in piedi.
Le menti deboli non fanno molta strada portando solo a cose negative, le menti forti, invece, sono i primi scudi che ci portano all'aggressività e a renderci irritanti, pieni di rabbia, ma anche loro, come quelle deboli, sono a rischio di un crollo mentale, solo che lottano di più ed io ho un brutto difetto, sono masochista, mi piace andare incontro a cose sbagliate e il più delle volte finisco per farmi male, ma ho troppi pesi addosso che mi fanno sentire esausto e stressato ed odio sentirmi così.

Resto a guardare il soffitto, beato fra il rumore dei rintocchi dell'orologio. Passo la notte in bianco, non avendo poiché molta voglia di andare a scuola, ma era l'unico modo per evitare tutto quanto,cercando di distrarmi il più possibile.
Il braccio mi brucia, ma nulla che non si possa sopportare, avevo ancora il coltello tra le mani che segna tutte le volte la mia pelle e con la punta rivolta sul palmo della mano presso fortemente, vedo il mio sangue fuori uscire da esso, resto a guardare, per me è tutto normale ed è insoddisfacente quando il dolore mentale ha sempre la meglio.
Faccio un'altra doccia veloce, ripulisco il sangue dal mio corpo e mi vesto svogliato, metto la mia felpa nera enorme per coprire i segni del mio atto crudele contro me stesso. Afferro lo zaino, metto le cuffie a tutto volume, scendo le scale e senza aspettare mia madre esco, sbattendo la porta di casa.
Arrivo in fretta a scuola,in anticipo di quasi un'ora, ma non mi importa, preferisco aspettare piuttosto che stare a casa, quindi trovo un posto libero su un muretto, noto che non c'è anima viva,nessuno degli studenti,allora mi siedo e resto ad ascoltare musica e a scrivere.

Qualcuno mi toglie le cuffie, era Josephine, una mia compagna di classe e con pigrizia richiudo gli occhi.
«Ehi straniero, non entri a scuola?» disse sventolandomi davanti agli occhi il suo orologio che segnava le otto precise.
«Merda! Ho perso la cognizione del tempo, grazie per avermi avvisato» mi sveglio in un secondo, non volevo mica morirci in quel posto.
«Non c'è di che, la prossima volta puoi unirti a noi, invece di startene tutto solo, così facendo non ti farai nuovi amici, ma che...» cambia espressione lasciando la frase in sospeso.
«Che hai fatto alla faccia?» chiede con aria preoccupata e di riflesso passo la mano sul graffio.
«Nulla, ho sbattuto contro l'armadio, comunque mi ero appisolato, altrimenti vi avrei raggiunti » mento per non essere scortese con la ragazza.
«E poi c'era un ragazzo che ti ha osservato per un paio di minuti, nel nostro gruppo» dice facendomi l'occhiolino.
«in che senso?» domando confuso.
«Nulla, c'era Davies che ti fissava da un bel po', ma non farti strane idee, era solo preoccupato essendo il nuovo arrivato, cosa strana dato che non è quel tipo di persona che si preoccupa di un apparente sconosciuto, capisci no?» dice tutto d'un fiato con una risata nervosa, torturandosi le mani.
«M-ma chi cazzo è Davies?» chiedo confuso.
«Josh... Josh Davies» borbotta a bassa voce.
Non risposi prendendo posto al mio banco, cerco con gli occhi Josh, che non tardo a trovare, stava parlando con un suo amico sulla soglia della porta.
Volevo chiedergli il motivo dei suoi continui sguardi,o forse ero solo curioso di sapere se era interessato a me, anche se Josephine ha detto di non farmi strane idee, ma non era mica la prima volta che mi puntava,dovevo chiederglielo, però il professore fa il suo ingresso in classe distruggendo i miei piani. Volevo solo mettere fine a questa pagliacciata degli sguardi e sapere se volesse qualcosa da me, magari mi ha visto da qualche altra parte, so solo che mette ansia.

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