12.

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Avrei dovuto pensare attentamente ciò che disse Josh in spiaggia, ma ha un so che di più nascosto, non credevo alle sue lacrime così facili, anzi, volevo farlo ma non riuscivo.
Era pur sempre una persona che conosco da poco tempo, mi piaceva si, ma non a tal punto da fidarmi ciecamente, anche perché ho una brutta sensazione che è ciò che più attira verso di lui, ho il brutto presentimento che sto per cacciarmi in una brutta situazione.

Erano passati due giorni dal nostro momento scomodo in riva al mare, non abbiamo fatto sesso, ma anche solo baciarsi era fastidioso per via della sabbia e dal freddo gelido che c'era quella sera, tuttavia non lo avrei permesso, non riesco a concedermi per via delle mie cicatrici su tutto il corpo, ho il timore di essere deriso o preso per un ragazzo con dei seri problemi.
È sera, il buio della notte mi avvolge sul cornicione della finestra, mentre estraggo il pacco di sigarette dalla tasca prendendone una e portarla alla bocca prima di accenderla.

Era tutto molto strano, forse l'idea di fidanzarmi o semplicemente concedermi a Josh non mi andava, magari è una semplice paranoia adolescenziale, oppure, paura di non essere capito. Mi sento in un barca che sta per essere travolta da un onda altissima ed essere inghiottito da essa sul fondale dei miei pensieri e mentre penso ad un oceano di cose, mi ritrovo già con le prime luci del mattino, era ora di alzarmi dal letto e andare a scuola.

Ho gli occhi gonfi per via della mia insonnia, ormai da qualche giorno dormo poco e sto peggio di prima.
«Che faccia che hai» sento dire alle mie spalle.
Era Erik.
«Non rompere le palle, oggi non è giornata.» puntualizzo in tono acido.
«Beh lo hai detto anche ieri e l'altro ieri, sicuro di star bene?» domanda quasi con espressione preoccupata ed io odio quando qualcuno si preoccupa per me.
«Tranquillo, brutti pensieri... come il suicidio» risospendo non curante di ciò che stessi dicendo.
«Ma che cazzo dici?» domanda con totale espressione preoccupata, gli si è formata una fossetta sulla fronte.
«Ehi stavo scherzando» rispondo per rasserenarlo, certo, non sarebbe la prima volta che penso di suicidarmi e ammetto che tutt'ora la farei finita, se non fosse per mia madre. In fondo le voglio bene.
Dopo aver tranquillizzato Erik, raggiungiamo la classe insieme, eravamo gli unici ancora fuori a girovagare per le classi.
Ignorai Josh, facendomi strada fra i banchi per raggiungere il mio, ero preoccupato per me, ho saltato le sedute dalla psicologa per via di Ethan e soprattutto ancora non ho detto nulla a Josh, anche se non vedo motivo di farlo. Insomma, ho già incasinato la mia vita nella nuova città. Fanculo.

Mia madre ha notato che stavo di nuovo peggiorando, sapeva che la mia stanza che per me è un posto sicuro, per lei è un abisso da cui non voglio risalire, capiva che non volevo farlo.
Sono un tipo strano, anch'io me lo tatuo sulla mia stessa pelle, perché a me piace giacere sul mio fondale degli abissi, era un dolore soffocante quasi io stessi annegando seriamente tra quelle acque buie, era ciò che mi teneva in vita e l'unico mio momento di sentire la mia esistenza esistere. Per altri sarebbe una follia, pensieri di una mente contorta, vorrei vivere mille vite con tranquillità e morire in ognuna di essa al proprio modo, a mia scelta.

Era già giunta la fine dell'ultima ora, ero immenso nel cielo chiaro, fino a quando Josh non si mette in mezzo privandomi la visuale.

«Ti va di venire con me nel mio o anche tuo posto preferito?» mi chiede porgendo la sua mano, che non afferro.
«Ciò che è tuo sarà sempre tuo.» rispondo con amarezza.
«È successo qualcosa?» domanda.
«No, tutto okay» lo rassicuro con un sorriso finto che non recepisce.
«D'accordo andiamo...» aggiungo alzando gli occhi al cielo. In sua risposta mi sorride lievemente, provocandomi un vuoto allo stomaco.

Saliamo in macchina, una volta calato il finestrino del mio lato ripongo le mie braccia a peso morto su di esso, sporgendo lievemente la testa fuori e con la mano cavalcare il vento, sentivo la ventata d'aria fresca dell'inverno in pieno viso, sentendomi pizzicare il naso.
«Non senti freddo?» domanda Josh.
«Beh, un po' per questo mi piace...» rispondo quasi sussurrando.
«in che senso?» mi chiede, ma lascio stare la sua domanda, continuando a sporgere di più la testa fuori, non avevo voglia di rispondere.
Vedo la macchina rallentare, sentendo l'asfalto scricchiolare, fino a fermarsi totalmente.
Sento Josh cercare qualcosa nella sua auto, fin quando trova ciò che cercava, voleva farsi una canna, spero abbia pensato anche me, avevo bisogno di qualcosa che mi aiutasse ad alleggerire la mente.
Esce la lingua per leccare la lunghezza della colla, era sexy e provocante, tanto da farmi deglutire. Josh era eccitante, questo è innegabile ai miei occhi.
Distolgo lo sguardo quando il suo si poggia su di me, lo sentivo bruciare, quasi come volesse macchiarmi la pelle e la sua mano cerca di toccarmi.
«Che stai facendo?» domando perplesso.
«Voglio solo toccarti la pelle» risponde con la mano a mezz'aria fino a sentire la sua mano calda sulla mia guancia, stavolta era una sensazione diversa, sentivo il mio debole cuore accelerare, mi sentivo sopraffatto da quel gesto cauto che mi viene d'istinto chiudere gli occhi. Volevo godermi quel momento di dolcezza che mi è mancata, non permettevo di toccarmi quasi a nessuno, non in questo modo per lo meno.
Il suo pollice disegna dei piccoli cerchi sulle mie labbra, che si schiusero di conseguenza in attesa di quel bacio che non tarda ad arrivare, sentivo la sua lingua avida e dal sapore di caffè intrecciarsi alla mia. Mi lascio trasportare dalla passione, dal desiderio di perdermi per un attimo nel mondo creato nell'abitacolo, laddove ci siamo solo io e lui.
Sfilo la maglietta facendo trapelare nella sua espressione un filo di stupore. Ero pronto.
Josh con fare impacciato mi sfila la felpa, scoprendo le mie braccia e di seguito toglie anche la maglietta intima che avevo sotto, mostrando il mio petto e le mie clavicole leggermente affossate, mi sento a disagio, quindi non stacco i miei occhi nei suoi, per mantenere il contatto visivo.
È stato tutto in modo meno goffo di come me lo immaginavo, era tutto facile, bello, quasi maestrale.
Continuava a spingersi dentro di me, fin quando non crolla sulla mia spalla, segno di essere giunto al termine e poco dopo esplodo anch'io sul suo petto, ormai stanco a mia volta.
Entrambi esausti ci ricomponiamo prima che qualcuno possa vederci, stavo per indossare la mia t-shirt, quando sento bloccarmi un polso.
«Che cazzo sono questi?» domanda contrito.
«Niente» rispondo indossando immediatamente anche la felpa.
Mi sentivo smarrito, non volevo giustificarmi.
«Ma che cazzo, sei una specie di malato o masochista?» domanda incurante.
«Cosa?» Rispondo ulteriormente con un'altra domanda, non credendo a ciò che ha detto.
«Cioè... Intendev-» cerca di terminare ma lo fermo prima dica altre stronzate.
«Cosa intendevi? Senti, vattene a fanculo!» esclamo con voce spezzata. Mi sentivo umiliato.
Scendo dalla macchina di fretta e furia, lasciandomi alle spalle quegli aggettivi che tanto non volevo sentire dire, mi sono fidato della persona sbagliata.

The Rose Of A LiarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora