5. Broke

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Addison

Vuota.
Così mi sentivo ormai da fin troppo tempo.

Dopo il presunto salvataggio di Ryan, il mio unico sentimento era il nulla, non provavo niente, non riuscivo a piangere, non riuscivo a sfogarmi, non riuscivo nemmeno a parlare.

Mi sentivo come se il mondo continuasse a girare ma io restassi ferma, ferma a quella cantina, così mi dissero almeno.
Da ciò che riuscì a captare in quella confusione interna, era che fossi stata rapita dopo il mio incidente stradale, quando ero con Andrew, ricordate?
A quanto dissero i testimoni fui investita, non gravemente per fortuna, e dopo l'impatto persi conoscenza. Mi dissero che Andrew chiamò un autoambulanza e che poi beh, conoscete il resto...

Passarono 10 giorni dal mio ritrovamento, più volte mi chiesero cosa fosse successo, come stavo, cosa sentivo. La mia risposta a ciò? Il nulla.
Non ho mai spiccicato parola, non ho mai raccontato i fatti avvenuti, non ho mai detto ciò che mi successe davvero. Solo una volta dissi una frase, forse per paura?
Quando Ryan mi ritrovò, l'uomo o meglio dire il mio stupratore arrivò dietro di lui, mi guardò attentamente, con quegli occhi così taglienti che non avrei mai più dimenticato, e disse «Stai bene bambolina?» ed io risposi semplicemente «Sto bene.»

Due parole, sette lettere, una bugia.

Ryan non venne mai a trovarmi, nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio, nemmeno per caso.


Ryan

10 giorni dopo.
Non potevo concepirlo.
Non potevo pensarlo.
Non potevo realizzarlo.
Io non potevo.

Se la mia piccola ribelle fu rapita era solo colpa mia.
«Cazzo» sbottai e poi niente fu come prima.

Andai da Anthony, colui che aveva osato solo guardare la mia piccolina, colui che aveva osato poggiare i suoi occhi pieni di odio sulla pelle candida della mia Addison.
Arrivai nella sua lurida casa, sapeva di droga.

Aprì la porta con violenza, mi guardai attorno, era tutto in stile barocco, un classico per un riccone mafioso qual era "Tony", così si fa chiamare.
Mentre irrompevo verso il suo ufficio, solito trovarlo lì a fumare erba continuavo a guardami attorno, sempre più schifato dalla quantità di donne nude che si trovavano nelle varie stanze della villa.

«ANTHONY!» urlai.

«ANTHONY VIENI FUORI LURIDO SACCO DI MERDA.» continuai mentre mi aggiravo dentro casa sua.

«Ei picciriddu.» mi chiamava in questo modo, era un termine siciliano, così mi disse un volta.

«Lei non sta bene vero?» gli puntai un dito contro e strigai i denti.

«Non osare mai più venire qui con quest'aria da sbruffone mocciosetto. Nessuno viene a casa mia ad insinuare cose per altre.» disse mentre si recava su per le scale, ignorandomi totalmente.

«Non andartene mentre ti parlo.» lo minacciai.

«Ah si?» si girò e mi guardò negli occhi «E cosa vorresti farmi,mh? Ti ascolto.» mi intimidò.

Ero cieco, cieco di rabbia.
Estrassi la pistola che tenevo nel retro dei miei pantaloni e poi gliela puntai alla testa.

«Sei venuto a casa mia per assassinarmi?» mi guardò spietato.

Io non mostrai mai ripensamenti o semplice paura, non potevo permettermelo, non volevo.

«Ma almeno abbi le palle di sparare ragazzino.»

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