𝗯𝗲𝗲𝗻 𝗿𝘂𝗻𝗻𝗶𝗻𝗴 𝗳𝗿𝗼𝗺 𝗶𝘁 𝗳𝗼𝗿 𝘁𝗵𝗲 𝗹𝗼𝗻𝗴𝗲𝘀𝘁 𝘁𝗶𝗺𝗲

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La medicina è sempre stata la risposta ad ogni malanno per me.

Un porto sicuro a cui affidarsi contro le malattie croniche, le allergie, i batteri sconosciuti che si annidano tra le lenzuola appena lavate.

Mi è sempre piaciuto studiare medicina, dal primo giorno. Non mi definisco un dottore con la soluzione a portata di mano, ma se c'è qualcosa che ho imparato in questi sette anni, è che la pazienza è la miglior premura che puoi riservare a un essere umano.

Tutti siamo fatti di carne, ci rompiamo le ossa e ci tagliamo le mani con un semplice gesto sconsiderato. Ci sporgiamo oltre a una ringhiera per buttarci nel mare, senza tenere conto dei lembi di ferro nascosti tra le acque, voliamo nel cielo come se fosse uno sport sicuro. E ci affidiamo a un dottore, a una cura, persino a dei centri riabilitativi che ti rassicurano che la "cura" è la risposta a tutto.

Che cazzata, eh?

Se solo non fosse stato per la medicina, non...

Sono passati dieci anni da quando il ponte che divideva le città è stato distrutto da una bomba.

Qualcuno è sopravvissuto, altri sono rimaste vittime dei cacciatori della notte.

Io sono qui.

Non mi sono laureato, non ho festeggiato il mio traguardo prima della tragedia che si è abbattuta su Tokyo. Non ho fatto niente, se non aspettare che tutto tornasse alla normalità.

Ho visto i miei amici, la mia famiglia morire annegata nelle sponde del mare.

Ricordo ogni singolo istante, le urla dei bambini che mi rimbombano nella testa quando mi sporgo oltre la sbarra di ferro della nave. L'acqua che mi annebbia la vista, il fuoco che comincia a rinchiudere la nave in un cerchio senza via d'uscita, la mia mano che afferra Suga prima di sentirla fredda tra le mie dita.

Suga era mio fratello, il mio fratellino ad essere precisi. L'unico che sapeva del mio enorme desiderio di lasciare Tokyo per volare a Londra, la persona con cui mi sono confidato dopo aver fatto sesso la prima volta con un ragazzo. Il mio tutto, quel bambino che mi teneva la mano prima di dividerci nelle aule delle scuole elementari e ricordarmi che saremmo tornati a casa assieme.

Non era un "vero" fratello, di sangue, dato che i nostri genitori si sono conosciuti a un incontro con i professori. Ma lo era, per me.

Non ricordo se è stato lui ad infettarsi per primo, o ad affogare.

Non ricordo chi è sopravvissuto e mi ha cercato durante la notte quando mi ero nascosto con i superstiti nei pochi luoghi sicuri della città.

Ma ricordo le urla strazianti di una mamma che viene trascinata via quando la figlia prova a morderla, le mie ginocchia che toccano terra appena incominciamo a dividerci nelle stradine isolate e buie per sfuggire dai cacciatori della notte.

Se solo...

La scienza è una maledetta bastarda, va a braccetto con la medicina perché le conviene ricordare di esistere.

Ed è nociva quanto le iniezioni di insulina che dovevano salvare i malati di diabete. Non importava che tipo di diabete avesse deciso di mangiarti da dentro, le nuove tecnologie e la cura potevano "renderti libero" per sempre.

Che enorme stronzata.

Da una piccola cosa... la fine della città.

La fine di Tokyo.

E da lì, il virus che si sparge per tutto il mondo.

Siamo sopravvissuti in pochi. C'è qualcuno che manda segnali alla radio, li sento la mattina quando preparo la colazione in cucina, ma non capisco che cosa dicano. Sono stranieri, la maggior parte.

☽ 𝗶 𝗳𝗼𝘂𝗻𝗱 𝘆𝗼𝘂 ᶦʷᵃᵒᶦDove le storie prendono vita. Scoprilo ora