Disturbi: Rubini

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Autolesionismoarrecare danno autoinflitto al proprio corpo con intento principale la punizione

Esiste chi ha reso i propri tagli arte, chi li ha resi storia, chi non li ha mostrati a nessuno e chi li ha mostrati al mondo. In ogni caso, gli squarci che ci autoinfliggiamo sul corpo non sono altro che vani tentativi di recidere la propria anima nella speranza di ricominciare tutto da capo.

Non so cosa successe esattamente dopo, ma mentre la mia mente mi torturava, mi tranquillizzai, il mio corpo si riscaldò lievemente, la mia pelle diventò tiepida, la ruvidità che la contraddistingueva fino a quel momento era sparita, era tornata morbida e delicata, come se quel periodo di debolezza non fosse mai esistito. Mi sentivo quasi rinata, come la prima volta che ho aperto gli occhi in quella grotta sconosciuta, l'energia vitale dentro di me era così tanta che mi stava quasi facendo scoppiare.

Tutta questa gioia stava per scomparire. La sensazione di essere sbagliata tornò improvvisamente, non mi sentivo degna di aver recuperato le forze, continuavo a trattare il mio corpo in un modo atroce, non mi meritavo tutta l'energia di cui ero irrorata. Questa mia convinzione portò il mio cuore a battere con un ritmo irregolare, un battito, poi due rapidi, poi nuovamente uno singolo, seguito da un altro solitario, non aveva alcun senso, sentivo il sangue scorrere nelle mie vene seguendo il suo corso a impulsi casuali, come se anche questo corpo avesse capito che non ero degna del bene che stavo ricevendo.

I miei muscoli si stavano irrigidendo, non appartenevo a quel corpo, non lo sentivo mio, continuavo a credere di non far parte di quel mondo. Iniziai a scrocchiarmi le dita, una ad una singolarmente, ognuna di esse doveva fare un crack, o non sarei stata contenta, dovevo sentire l'osso che soffriva per me, o forse con me.

Il dolore mi portava piacere, quasi come se l'oppormi al fato che mi ha donato questo corpo mi liberasse, svuotasse questa gabbia di carne assolutamente inutile.

Presto passai a utilizzare le mie unghie sul mio stesso corpo, un singolo dito che scorreva sul braccio incidendo un solco abbastanza profondo da provocarmi un brivido, una scossa impercettibile se non è ciò che si desidera. Dopo aver passato un dito, aggiungevo il resto delle unghie a creare percorsi paralleli per sentire ancora più dolore profondo. Più continuavo, più segni rimanevano sulle mie braccia, la mia pelle candida si era riempita di solchi rossi, e più il mio sangue pulsava attraverso di essi, più sentivo leggere scosse di dolore, o di piacere...

I miei avambracci sembravano un campo appena arato e seminato col dolore, erano una tela già riempita, avevo bisogno di un nuovo quadro da realizzare con un nuovo pennello. In bagno mi sedetti per terra, il rasoio mi attraeva, quella piccola lametta di metallo al suo interno, il luccichio argenteo dell'acciaio di cui era fatta mi faceva sentire come una gazza che aveva trovato il gioiello perfetto per il suo divertimento. Presi in mano il rasoio e staccai la lametta, il filo di quel pezzo di metallo incise il mio pollice senza preavviso, una scarica di adrenalina percorse ogni mio nervo, una goccia rosso rubino cadde sul pavimento azzurro del mio bagno, qualcosa si smosse dentro di me come l'ispirazione per un artista.

Mi venne naturale appoggiare il filo della lama di quel piccolo oggetto sulla mia coscia destra, solo premendo sentivo il mio sangue pulsare e venire interrotto da quella ghigliottina, un rivolo di sangue si fece strada sulla mia gamba scorrendo lentamente. Come un pittore presta attenzione ad ognuna delle sue pennellate mossi lentamente la lametta sulla mia coscia assicurandomi che rimanesse alla stessa profondità a cui avevo premuto prima, la linea rossa che aveva segnato non aveva niente a che fare con i graffi rossi che avevo sulle braccia, era un'opera d'arte di un livello straordinario che segnava l'inizio di una serie di quadri dello stesso livello.

Mentre la linea appena intagliata faceva il suo corso con quella vernice rossa, sgocciolando sul pavimento senza più fermarsi, l'ispirazione mi fece incidere nuovamente la pelle delle mie gambe, creando un'altra linea rossa destinata a provocare solo dolore, quel dolore che mi attraeva tanto perché mi permetteva di fuggire dall'illusione che fossi adatta a questo mondo. Continuai imperterrita a disegnare sulle mie stesse cosce, impregnare il bianco della mia pelle col rosso del mio sangue, quel dolore era l'unica cosa che desiderassi in quel momento.

Nel lago di sangue che si era formato notai il mio sguardo, due occhi verdi vacui e tristi, pieni di lacrime che volevano solamente uscire ma non potevano. Il mio corpo si stava ribellando a ciò che la mia mente provava per lui, mentre quest'ultima lo odiava per essere così, lui accettava la mente per come era e lasciava a lei il comando, fidandosi ciecamente per il suo bene. Era convinto che volessi soltanto far fuoriuscire la troppa energia vitale che sentivo dentro di me. Mi sentii in colpa per ciò che stavo facendo, stavo rovinando un dono che mi era stato concesso senza dover dare nulla in cambio, stavo sfregiando un corpo meraviglioso che amavo fino a poco tempo prima e di cui ho sempre accettato tutto. Scagliai la lametta a terra con rabbia, riluttante per le mie scelte, avevo dentro di me solo il dolore delle scelte errate che avevo fatto e le lacrime che volevano cadere a terra per unirsi col sangue e rassicurarlo.

Avevo ormai deciso che dovevo porre fine alle sofferenze che mi stavo autoinfliggendo, è normale che la vita sia solo "nero" se la passi ad occhi chiusi spaventata, devi aprire gli occhi per vedere il "bianco" che essa può offrire.

Arianna - Un cuore fittizio per persone di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora