Sabato, 11.17. @kevin_white.wolf: Ehi #ragazzaconlepalle stasera vieni alla festa quindi? A casa mia alle 21.30, qui sotto ti mando posizione ;;)
Non credo di aver mai ricevuto un messaggio più detestabile di quello che mi manda Kevin, il mio compagno di inglese, questa mattina. Ieri mi ha chiesto l'amicizia su Instagram, gliel'ho accettata perché mi sembrava brutto non farlo. Stamattina, quando mi sveglio, ritrovo questa notifica e per un momento penso di levargliela, l'amicizia. Primo perché mi ha chiamata con un hashtag, insomma, non sono mica una citazione. Secondo per l'hashtag che ha usato: decisamente maschilista dal momento che la frase 'ragazza con le palle' impone una distinzione tra sessi, come se una donna avesse bisogno di avere i genitali maschili, e quindi somigliare ad un uomo, per essere caratterialmente forte. E poi... cosa mi rappresenta la faccina con doppio punto e virgola?
Alla fine, gli rispondo così:
Sabato, 12.28. @_.sophiagray._ : Non lo so ancora, ora vedo e ti faccio sapere. Ah, giusto perché tu lo sappia, "ragazza con le palle" è sessista... quindi evita di chiamarmi in questo modo o non chiamarmi affatto, grazie ;)
Dopo aver inviato il messaggio mi metto a curiosare su Instagram. Non trovo nulla di interessante, ma poi accade che il mio dito clicchi sulla lente di ingrandimento e inizi a digitare Nicolas Reyes, automaticamente. O almeno, non sotto istruzione del mio cervello. Mi appare subito il suo account, che riconosco dalla foto profilo in cui compare, in piccolo, lui per intero con il volto di lato mentre guarda qualcosa alla sua destra. È poggiato ad un muro su cui vi è dipinto un murales che non riesco a decifrare bene. Il ciuffo scuro scombinato lo fa apparire come un tipo ribelle e sembra estraneo e distante a tutto ciò che lo circonda. Scorro i suoi followers, probabilmente più di quanti ne possa procurare io in una decina di anni, che per la stragrande maggioranza sono account di ragazze. Non mi sorprende. Lui, però, la maggior parte di queste ragazze non le segue. Segue poca gente in realtà. Un nome, in particolare, risalta ai miei occhi: @jessicaporter. Chiudo il telefono rifiutandomi di stalkerargli ulteriormente il profilo e ripenso al lunedì e al martedì trascorsi. Lunedì in classe mi è venuto una sorta di attacco di panico e mi sentivo morire dall'imbarazzo, perché lui era lì e ha visto tutto. Ho inventato una scusa, ma non era convinto e dopo ha fatto un gesto che non mi sarei mai aspettata: ha preso a giocherellare con le mie ciocche di capelli. È durato un po' ed è stato... dolce. Mi sono calmata grazie a quel gesto, non so come mai; so solo che un momento prima ero sommersa dai ricordi e un momento dopo mi sembrava di essere contemporaneamente in nessuno e in tutti i luoghi. Ma poi il giorno successivo Nico è arrivato al campo, incazzato come non lo avevo mai visto, e non mi ha rivolto la parola. Ha anche risposto male al suo amico ed evitato in ogni modo possibile il mio sguardo. Non sapere cosa gli passasse per la testa mi infastidiva
terribilmente.
Il suono di una notifica mi riporta alla realtà. È Kevin, mi dice che non lo sapeva e non lo farà più e mi esorta a venire alla festa in quanto sarebbe una buona occasione per conoscere gente, dato che sono nuova qui, e per spiegargli perché l'affermazione sia maschilista. Conclude il messaggio con un'altra dannatissima faccina a doppio
punto e virgola.
Sono le 21.30 in punto e mi trovo all'indirizzo che mi è stato mandato. Finalmente la casa non è l'ennesima villa che mi aspettavo. Si tratta di un'abitazione modesta nelle alture di Bouldin Creek, che si distingue dalle solite per via del colore verde tenue, in cima ad una strada diroccata e scoscesa. Ci ho messo un'infinità per arrivare, in un autobus piccolo e vuoto che prendeva una buca ogni metro. Non credevo potessero esistere posti così nascosti e diversi qui. La casa è stretta e a due piani e sembra sia stata appena costruita; fuori ospita un giardino semplice, pieno di fiori e ben curato, circondato da una staccionata bianca. Non vi è parola più appropriata che graziosa per descriverla. Peccato che probabilmente non si tratti del posto giusto, dato che non sento un accenno di musica provenire dall'interno, né vedo anima viva all'esterno. Sospiro forte al pensiero di aver fatto tutta questa strada inutilmente, ed effettivamente avrebbe senso che la festa non si trovasse in una casetta del genere in mezzo al nulla. Contemporaneamente, sotto sotto, spero di aver sbagliato strada. Però dentro qualcuno c'è, o almeno così sembrerebbe dai riflessi delle finestre. Così scrivo a Kevin che sono qua fuori. Due minuti dopo lui apre la porta e un po' mi sento sprofondare. Forse avrei fatto meglio a starmene a casa a leggere. Non so neanche perché delle volte assecondo certe idee davvero stupide, come quella di venire a questa strana festa in uno strano posto. Ero completamente orientata sul no oggi, ma poi mi sono detta che ad un certo punto dovrò pur rischiare e rompere la campana di vetro dentro cui mi rifugio continuamente. Perché si sta al sicuro sotto al vetro, ma alla fine non si vive davvero. Perciò, eccomi qui, mentre entro in una casa graziosa e vedo gente seduta a gambe incrociate su un tappeto, mentre sorseggia vino bianco, e mi chiedo dove cavolo sono finita. Kevin mi invita a sedermi per terra insieme agli altri e mi offre del vino, che declino gentilmente. Non voglio che l'alcool renda tutto più strano di quanto non lo sia già. Kevin chiede ai presenti di formare un cerchio e questi eseguono senza protestare. Siamo talmente pochi da non uscire dal tappeto che, per quanto sia grande, è pur sempre un tappeto. Con quale coraggio Kevin ha definito un ritrovo simile come una festa? Perché sono sempre io a ritrovarmi in situazioni del genere? Il proprietario introduce me ai suoi amici, i quali mi sorridono e si presentano uno alla volta. La cosa particolare è che non lo fanno con i loro nomi, ma con quelli di...
animali.
"Piacere Sophia. Io sono Serpente"
"Ciao Sophia, puoi chiamarmi Lince" e ognuno omette il proprio vero nome. Kevin completa il giro dicendo di rivolgermi a lui con Lupo.
"E tu ricordi molto... una volpe, per via del taglio degli occhi e per il tuo carattere. Sai, la volpe apparentemente sembra stare sulle sue, ma se la fai arrabbiare sa difendersi molto bene. Ti chiameremo così d'ora in poi." Ha uno sguardo strano e un sorriso inquietante. Sposto rapidamente gli occhi da un'altra parte. Inizio a pensare di andarmene, quando propongono di fare un gioco. E appena qualcuno sbatte al centro del tappeto una Tavola Ouija, considero seriamente l'ipotesi di trovarmi ad un
incontro di una qualche setta.
"Ehi Kevin, ehm Lupo, io... mia madre mi ha scritto. Ha bisogno di me, quindi ho paura di dover scappare. Scusami tanto." Faccio per alzarmi ma lui mi stringe il polso forzandomi a risedere. Il mio battito inizia ad accelerare senza sosta avvertendo la
sensazione di pericolo.
"No Volpe." Il suo tono è fermo e deciso, ma lo cambia accorgendosi di sembrare pericoloso: "non puoi perché non ci sono più autobus a quest'ora. E i taxi non vengono fino alla mia reggia ben nascosta!" Tutti ridono come se avesse appena fatto una battuta divertente. "Ti accompagnerò io a fine festa." Deglutisco. Ora sì che ho paura. Ha degli occhi da psicopatico represso e perciò comincio a pensare a chi chiedere aiuto. Mia madre fa la notte in ospedale, non potrà mai venire a prendermi e in ogni caso lei non lo considera affatto il cellulare a lavoro. Cerco di sorridere, anche se non so cosa effettivamente venga fuori sul mio volto e gli dico: "Oh, va bene. Vorrà dire che resterò ancora un po', tanto mi sto divertendo." Non è la verità, ma ho imparato che è meglio comportarsi bene con i soggetti pericolosi mentre trami un piano per fuggire alle loro spalle. Lui sorride, sembra contento della mia risposta. Sento agitazione pura dentro il mio corpo, ma esternamente tento di mantenere il controllo. Fingo di essere coinvolta nel gioco. Posizioniamo tutti le dita sulla tavola aspettando le risposte di un ipotetico spirito. Per prima cosa chiedono se sia un animale, ma ormai non mi stupisco più. La risposta, pilotata probabilmente dal capobranco, è sì. Cazzo, che banda di folli. Una pausa-cibo è annunciata da Farfalla, credo, quando sbuca in sala con una ciotola di patatine. Ma non posiziona fra noi il contenitore come farebbe una persona normale, bensì, da in piedi, lo rovescia direttamente sul tappeto e tutti si gettano in avanti a raccogliere le patatine per divorarle. Hanno sguardi famelici, eccetto Kevin, che rimane per tutto il tempo composto a gambe incrociate ad osservare gli amici, con espressione impassibile. È adesso che
capisco di dover scappare. Subito.
"Dov'è il bagno?"
Stretta fra le quattro mura azzurre posso scrivere senza dare nell'occhio. Ma chiamare no, dato che il salotto si trova proprio a fianco al bagno e sono tutti in silenzio di là. Mi sforzo di pensare a ogni contatto raggiungibile: quello a comparire per primo nella mia mente è il nome di Nicole. Così le scrivo di corsa. Passa un minuto, non risponde. Ne passa un altro, niente. Ultimo accesso stamattina. Merda. Aspetto cinque minuti, senza ricevere segnali e sento salire il panico. Perché non mi sono sforzata di più a fare conoscenza da quando sono qui?? Degli amici di Nicole non ho il numero di nessuno; perciò, provo a cercare i due di loro di cui conosco il cognome su Instagram. Le mie dita tremano mentre digito. Non trovo Alexa nemmeno nei seguaci di Nicole. Cazzo, cazzo, cazzo. Scrivo 'Deborah' ed... eccola! Clicco sul suo account e per poco non mi scappa un'imprecazione a voce alta: è privato. Mando lo stesso la richiesta sperando sia attiva. Il mio respiro diviene affannoso, il cellulare mi cade dalle mani. No, non adesso. La mia vista comincia ad offuscarsi e la testa a girare. Mi alzo, cerco a tastoni il lavandino e quando lo trovo mi ci aggrappo.
Deglutisco più volte.
"Tutto bene lì dentro, Volpe?" La voce di Kevin mi arriva da lontano ed io riesco solo a pronunciare un debole "sì". Guardo nello specchio, mi concentro. Non posso perdere il controllo ora. Me lo ripeto all'infinito fissando il mio riflesso fino a che non riprendo a respirare normalmente e a vedere con lucidità. Apro il rubinetto e mi sciacquo il viso, per poi recuperare il cellulare da terra. Nessuna notifica. Adesso stanno bussando rumorosamente alla porta quindi esco. Con tutta la concentrazione del mondo, sentendo ancora le gambe
tremolare, dico agli ospiti che mi circondano: "È tutto ok ragazzi, ho solo un po' di mal di pancia." Rivolgo loro quel sorriso incosciente che fanno in continuazione e, incredibilmente, sembrano apprezzare. Una ragazza di cui non ricordo l'animale mi agguanta il braccio e mi
accompagna al mio posto.
"Vado a prendere un altro gioco" dice. Poco dopo torna con una scatola su cui vi è disegnata una grossa onda blu e d'un tratto mi viene in mente l'unica altra persona che conosco e a cui posso chiedere aiuto. La ragazza ci domanda se qualcuno vuole accompagnarla a prendere le altre cose. Alcuni si offrono e, quando capisco che potrebbe essere una buona idea levarsi dai dintorni del Lupo, lo faccio anch'io. Andiamo al piano di sopra in una stanza buia e lei ordina di cercare una scatola marrone di legno e un peluche a forma di orso. Mi infilo in un angolo dove un accatastamento di cimeli copre il muro e, volgendo agli altri la schiena, afferro di nascosto il cellulare mentre fingo di cercare.
Sabato, 22.36. @_.sophiagray._ : Ho bisogno di aiuto. Vieni subito ti prego.
Inoltro la posizione e nascondo il telefono. Giro per la stanza come gli altri, osservo i loro movimenti e provo a comportarmi ugualmente. Sono tutti così... fuori di testa. Poco dopo sento vibrare il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e spero con tutta me stessa che sia la risposta al messaggio.
Ritorno al mio angolino per controllare.
Sabato, 22.45. @nico.reyes: Sono già in macchina, arrivo.
Dio, Nico, non sai quanto ti adoro. Sto riponendo il telefono in tasca quando sento dire: "Volpe, non te l'hanno detto che non si usa quell'aggeggio qui?" Ci mancava questa. "Su coraggio, dallo a me." La ragazza tende la mano aperta nella mia
direzione.
"Ah, non lo sapevo. È che stanno ricoverando mio nonno e vorrei sapere tutto sul momento. Non è che potreste fare un'eccezione?" Ho lo sguardo più
implorante che riesco a fingere.
"Le regole valgono per tutti." Mi fa segno di consegnarglielo ed io eseguo, non potendo fare altro. Stronza psicotica. Continuiamo a cercare l'orsetto, perché la scatola è già stata trovata, e per fortuna è ben nascosto. Questa stanza è peggio dell'ammasso di scatoloni nella mia casa: somiglia ad una discarica di oggetti d'uso inutile che, proprio come la spazzatura, sono raggruppati a mucchi. Mi sembra di essere finita dentro un film horror. Passano una decina di minuti sino a quando non lo trovano; quindi, scendiamo tutti di sotto per ricomporre il cerchio. Un altro quarto d'ora trascorre mentre Farfalla e Lince eseguono i preparativi, montando una sorta di piccola impalcatura per l'impiccagione. E poi, come se non ci fosse già abbastanza follia nell'insieme, al cappio viene appeso l'orsetto. Spero che Nico si muova perché non mi sono mai sentita così tanto fuori luogo. Non so che intenzioni abbiano, di certo nulla di buono. La mia mano riprende a tremare, la nascondo sotto la coscia. Proprio in questo istante il campanello suona. Dimmi che sei tu. Tutti tacciono e si immobilizzano. Kevin si alza, sempre calmo nei suoi movimenti ma non più nell'espressione, in cui ora compare un filo di agitazione. Va verso la porta. La apre appena, quel tanto che basta per recepire le parole del visitatore. E mi si scioglie il cuore quando sento la voce sicura e familiare che desideravo. Sono concentrati tutti sulla scena, perciò mi alzo e faccio uno scatto verso la porta. La apro di più in modo tale che Nico mi veda, ma Kevin mi spinge indietro. Perdo l'equilibrio e cado a terra. Sento pulsare il corpo per la botta e getto uno occhio a lato. Gli squilibrati stanno venendo verso di me adesso.
"Nico!" Urlo con tutto il fiato che ho in corpo. Lui mi sente e spalanca la porta con una spallata, facendo indietreggiare Kevin che cade a terra. Mi alzo in piedi e afferro la mano di Nico. Corriamo fuori, più forte che possiamo, senza staccarci l'uno dall'altra. Raggiungiamo la sua Mini e lui mette in moto mentre sto ancora salendo. Guardo dallo specchietto i tre che hanno provato a rincorrerci, ma che seminiamo non appena prendiamo velocità. Nel buio della notte lungo questa strada diroccata, la casetta che ora mi sembra una trappola per il suo apparente aspetto magico, si fa sempre più piccola in lontananza. Quando siamo su una strada normale e sicuri di essere fuggiti al pericolo, ci fermiamo. Scendiamo ed io, per una volta, non mi ritraggo all'impulso del mio corpo. Lo assecondo, anzi, avvicinandomi a Nico per abbracciarlo; lo stringo forte e chiudo gli occhi in una confortevole sensazione di sicurezza. In un primo momento è rigido, probabilmente sorpreso, ma poi ricambia l'abbraccio e appoggia la sua testa alla mia.
"Sei al sicuro adesso." Mi sussurra all'orecchio. Le sue parole mi fanno scordare tutta la paura che ho provato e l'adrenalina ancora circolante dentro di me mi abbandona definitivamente. È il nostro secondo momento di intimità e una parte di me spera non sia l'ultimo. Restiamo così per un tempo che non saprei definire. È doloroso staccarsi per entrambi.
"Stai bene? Ti ha... fatto del male?" Sembra provato e le sue iridi sono vispe di agitazione nel buio della notte; è preoccupato per quello che ha visto e forse per quello che stavo rischiando. È preoccupato per me.
"Sto bene, tranquillo. So che è un po' sopravvalutata e sessista l'immagine dell'uomo che salva la donna in pericolo, però è quello che è successo, perciò... grazie." Forse sono un po' impacciata mentre lo dico, ma non mi importa perché continuo a pensare all'abbraccio e a quanto desideri rifarlo. E di certo lui non aiuta, con il sorriso luminoso che mi rivolge ora. Appena risaliamo in macchina dice: "adesso avrei un po' di domande." Gli faccio cenno
di proseguire mentre riprende a guidare.
"Innanzitutto, cosa diavolo ci facevi stasera in casa di Kevin White??" Dal suo tono traspare sorpresa; è sconvolto. Quasi avessi scelto di andare a farmi un giro in un ghetto a notte fonda, anziché accettare l'invito ad
una festa.
"Mi ha invitata ad una festa a casa sua
qualche giorno fa..."
"e tu hai pensato bene di andarci" escluso il fatto che non sono proprio un'animale sociale, ma lui non lo sa, non capisco perché
si stupisca di questo.
"Sì, credevo fosse una festa normale!"
"Sophia, se Kevin White ti invita ad una festa privata, come le chiama lui, non c'è nulla di normale. E soprattutto non è normale andarci." Ah, quindi è risaputo che il Lupo sia uno psicopatico. Peccato che sia nuova io. "Si dice in giro che gestisca una produzione di stupefacenti amatoriali o roba simile. E che queste feste siano un modo per diffondere i suoi nuovi prodotti o per adescare qualche nuovo membro nella sua cerchia. Dimmi che non hai ingerito niente." Oh, adesso è chiaro. Proprio io, che non ho neanche mai provato una sigaretta, dovevo finire in mezzo ad un incontro di drogati.
"Mi hanno offerto del vino bianco, quello che sorseggiavano tutti" lui sposta gli occhi dalla strada a me, terrorizzato. "Ho rifiutato" mi affretto ad aggiungere. Rilascia tutto il fiato che stava trattenendo e riprende a guardare dritto. Ed io mi chiedo se ci tenga effettivamente così tanto a me, o se sia solo una sfumatura del suo carattere. Gli racconto tutto quello che è successo nel
corso della serata.
"Wow." Ha perso le parole per commentare una festa che effettivamente non si può commentare. Ma poi un sorrisino si fa spazio nel suo volto. "Beh, Gray, se avevi tanto bisogno di una serata alternativa avresti potuto chiamare me." Alzo gli occhi al cielo tentando di nascondere
l'incurvamento all'insù delle mie labbra.
"Non è che sia stata proprio una cosa calcolata. Però grazie, la prossima volta so a chi chiedere." Ride piano. E questo, insieme all'improvvisa percezione della vicinanza a
lui, mi destabilizza. Scaccio via il pensiero.
"Quando dà le sue feste Kevin White cerca sempre di invitare una persona nuova da includere nella sua cerchia. Sta ripetendo l'ultimo anno per la quarta volta... si dice che non voglia lasciare la scuola per continuare ad avere terreno fertile su cui spacciare e cacciare. Queste cose le so perché le ho sentite in giro, ma non immaginavo fosse tutto vero." In effetti non
sono cose a cui io crederei.
"Ma... perché Kevin voleva includere proprio me nella sua gang di animali?" Domando, non riuscendo a trovare una
risposta da sola.
"È semplice. Sei nuova, non sapevi che tipo fosse in realtà, e poi..." sembra timoroso nel dire ciò che vuole dire, ed è una sfaccettatura nuova in Nicolas Reyes "...hai il tuo aspetto. È... beh, è normale che i ragazzi ti si avvicinino." Mi sento arrossire e ringrazio che stia guidando, almeno non può notarlo. Era una forma di apprezzamento per il mio aspetto quella che ho sentito? Lo ha detto così per dire o gli
piaccio davvero fisicamente?
La cosa più strana è che sotto sotto, per quanto mi rifiuti di crederci, spero che la
risposta giusta sia la seconda.
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Lo spazio tra la polvere
Подростковая литератураSophia si è appena trasferita ad Austin, in un nuovo appartamento insieme a sua madre con la quale possiede un forte legame. È sola nella nuova scuola, decisa a non farsi notare per nessun motivo e pronta a scrivere un altro capitolo della sua vita...