Eco

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Glastonbury, 1540

(canta)

Aziraphale aveva serbato a lungo il ricordo del canto di Crowley, anche se erano passati, letteralmente, migliaia di anni. Come una scheggia, il suono del kinnor e la sua voce erano rimasti incagliati nel suo cuore, da qualche parte, insieme al ricordo del profumo dell'estate e del mare.

Non ne avevano mai parlato, e Aziraphale non sapeva se Crowley si fosse mai accorto della sua presenza, sulla cima di quel colle. Se lo era chiesto molte volte ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere. Aveva sempre accettato il demone per quello che era: a volte scontroso, a volte gentile, quasi sempre terribilmente irriverente, ma non gli aveva mai chiesto del suo passato, del perché fosse Caduto. Crowley avrebbe storto il naso e borbottato qualcosa di inintelligibile, e sarebbe finita lì. Ma soprattutto, Aziraphale non voleva ferirlo, e dopo averlo sentito cantare tutto quel dolore, era certo che la sua sarebbe stata una domanda inopportuna. Come si chiede a un demone le ragioni della sua ribellione?

Eppure, non era mai riuscito a vederlo come un vero e proprio nemico.

Ed era per questo che stava per fargli un regalo.

Gli aveva fatto recapitare un messaggio e sperava che, nonostante il luogo non fosse certo il migliore per un incontro, né il più comodo, si sarebbe comunque presentato.

Aziraphale sedeva sui gradini della chiesa di Glastonbury.

Maggio era stato un mese buono, quell'anno. L'aria era tiepida e profumava d'erba e di glicine. Non era certo che Crowley sarebbe arrivato, ma aspettò pazientemente, beandosi di quel momento di quiete. Non c'erano molti rumori, nonostante quella fosse un'abbazia famosa. Non c'era nessuno in giro e il tempo sembrava quasi fermo, in un'atmosfera irreale.

Era quasi il tramonto quando una figura vestita interamente di nero si stagliò su di una collinetta poco lontano. Aziraphale sorrise, sollevato, alzando un braccio in segno di saluto. Si tirò in piedi per accogliere il nuovo arrivato.

Crowley aggrottò le sopracciglia inspirando bruscamente con il naso. Chiaramente cercava di cogliere qualche odore che Aziraphale non sarebbe mai riuscito a sentire.

"Non sento puzza di altri angeli, qui intorno" gli disse, a mo' di saluto.

"Altri angeli? Per quale motivo dovrebbero esserci altri angeli? Lo sai che non vengono volentieri sulla Terra" tentennò Aziraphale "Ci siamo solo noi, qui" aggiunse.

"Lo vedo, ed è strano. Che fine hanno fatto tutti, qui? I frati, i contadini, i servitori? Che è successo?" gli chiese continuando a guardarsi intorno, sospettoso.

"Non c'è più nessuno all'abbazia, Crowley. Voglio che tu possa vedere Glastonbury insieme a me".
Aziraphale si illuminò tutto, nel dire questo. Crowley poteva leggere la sua gioia nel dirglielo nei suoi begli occhi azzurri, nella curva delle labbra, nel modo in cui il suo corpo si protese verso di lui.

"Sei forse impazzito?" si strinse nelle spalle "sono un demone, se per caso non lo ricordi, e quello è suolo consacrato: mi brucerei".

"Non lo è più. Per ordine di Thomas Cromwell, solo pochi mesi fa, tutti i frati sono stati dispersi. Non c'è più nulla e la chiesa è stata sconsacrata: puoi entrare".

Aziraphale dovette spingerlo fino all'ingresso.

Crowley esitò ancora per un attimo. Poi irrigidì la mascella e fece un altro passo, varcando finalmente la soglia.

Non successe nulla.

Sebbene spogliata dei suoi ori e dei suoi beni, Glastonbury manteneva un'atmosfera solenne. Gli archi a sesto acuto della navata centrale portavano a guardare verso l'alto, e la luce entrava in lame, filtrando dalle sontuose finestre decorate a piombo.

Aziraphale era rimasto all'ingresso, appoggiato ad uno stipite rovinato, mentre Crowley si avventurava da solo all'interno. Nonostante gli stivali morbidi, i suoi passi rimbombavano nella chiesa totalmente vuota. Si muoveva con circospezione, col naso verso l'alto. Era di certo il primo demone che metteva piede in quella chiesa. Probabilmente il primo in assoluto, in una qualunque chiesa. Scoppiò a ridere preso da un'irrefrenabile ilarità, e la sua risata rimbalzò sui muri vuoti, ripetuta più volte.

Si guardò attorno, meravigliato.

Provò a dire il suo nome ad alta voce, che gli venne restituito in un'eco.

Guardò in direzione dell'angelo che gli stava venendo incontro, con occhi luminosi.

"Vieni, qui c'è l'acustica migliore" gli disse l'angelo, sorridendo a sua volta, tirandolo verso la parte dell'abside. Gli indicò di sedersi su di uno degli scranni rimasti intatti dopo il saccheggio, e si sedette a sua volta su di un altro, di fronte a lui.

Poi intonò con voce chiara e limpida un antico gregoriano "Deum verum".

Crowley chiuse gli occhi. Inspirò profondamente e per qualche minuto godette della bellezza della voce di Aziraphale che gli accarezzava la pelle, facendolo rabbrividire.

Ora capiva.

Poco dopo si unì al canto, intrecciando la sua voce tenorile a quella più bassa e modulata dell'altro.

E fu come un rincorrersi, un tracciare linee curve nell'aria, fu come un volo a cavallo del vento, mentre entrambi, ad occhi chiusi, spiegavano le voci sulle note di una melodia antica.

Una volta finito si guardarono, e Aziraphale si rese conto che Crowley aveva sempre saputo di lui, a Ugarit. Così come Crowley capì che Aziraphale aveva compreso il suo canto senza parole, e gli aveva donato la possibilità di farlo ancora.

Non gli disse mai grazie, ma non ce ne fu bisogno.

Ricominciarono a cantare un nuovo inno, e un altro ancora, e poi ancora, fino a che non sorse di nuovo il sole a Glastonbury. 



Note: se volete sentire quello che ho pensato per loro, dopo aver ascoltato decine e decine di canti gregoriani diversi per giorni, ecco qui: 
https://www.youtube.com/watch?v=kK5AohCMX0U&t=195s

Grazie ancora a Martina Huni <3 
https://www.instagram.com/martina_a_duck/

com/martina_a_duck/

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