Il canto di Nikkal

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Ugarit, Siria – 1400 A.C.

(vibra)

La terra era calda di sole, gonfia di frutti, pronta a donarli all'umanità.

Era stato un anno ricco e ora volgeva al termine con la raccolta delle messi e degli ultimi frutti. Presto avrebbe lasciato posto agli ultimi soli caldi dell'autunno, per poi passare al quieto e silenzioso inverno. Il ciclo delle stagioni era fisso ma allo stesso tempo mutevole e regalava sempre emozioni per chi, come Aziraphale, aveva la capacità e soprattutto la possibilità di vederlo scorrere centinaia e centinaia di volta. Eppure lui trovava che ad ogni nuovo inizio, quando le prime foglie novelle spuntavano timidamente sui rami degli alberi, ci fosse qualcosa di nuovo. Si arricchiva, di stagione in stagione e di anno in anno. Accumulava ricordi, serbati nella sua mente acuta e intelligente, come un infinito archivio della vita del mondo.

Le possibilità di muoversi per lui erano pressochè illimitate, ma si trovava a Ugarit per la prima volta.

La città si trovava su di una collina che si affacciava sul Mediterraneo, e godeva della meravigliosa vista del mare che, ogni giorno, inghiottiva il sole per lasciare posto alle stelle e alla luna che facevano luccicare l'acqua di riflesso.

Era proprio uno di quei momenti. Il sole stava annegando silenziosamente, lasciando che gli ultimi raggi tingessero di rosso le piane che separavano Ugarit dal mare.

Aziraphale stava seduto pigramente su un basso muretto a secco, quando la quiete del tramonto venne interrotta da una serie di suoni metallici, dissonanti eppure affascinanti.

L'angelo si diresse verso quella strana musica, attratto suo malgrado.

Coi capelli lunghi che ricadevano sulla schiena in un groviglio di riccioli ramati, resi ancor più fiammeggianti dalla luce del calar del sole, Crowley era seduto su un grosso masso e gli dava le spalle. Ne riusciva a vedere solo in parte il profilo severo con il naso leggermente adunco, il mento piccolo e appuntito, le labbra sottili e tese. I suoi begli occhi d'oro chiusi e con le sopracciglia leggermente aggrottate.

In mano teneva uno strumento musicale con 9 o 10 corde, non riusciva a distinguerle bene da lì: era un kinnor, chiamato anche lira di Megiddo. Crowley le pizzicava, traendone suoni a volte in rapida successione, altre volte più lenti. I toni erano calanti, vibrati, in scale a cui lui era poco avvezzo. Eppure quella melodia lo affascinava incredibilmente. Parlava di luoghi lontani. Era malinconica, a tratti gelida, a tratti struggente.

Aziraphale si accovacciò appoggiato al tronco di un albero, ad ascoltare. Sperò che Crowley non lo avesse notato, perchè non voleva interrompere quella meraviglia.

Le dita ossute del demone artigliavano le corde quasi rabbiosamente e un attimo dopo le accarezzavano con reverenza, quasi con amore. Come potesse un singolo strumento riempire l'aria di così tanta emozione Aziraphale non avrebbe mai saputo dirlo.

Sembrava non seguire uno schema preciso. Quello che suonava sembrava solo correre dietro ai pensieri tumultuosi del demone. A un tratto il ritmo si fece più ossessivo. Divenne una danza. Le note erano più brevi, più ravvicinate, le mani magre correvano agili sulle corde, trovando la posizione giusta, l'accordo perfetto.

Rapidamente come aveva iniziato, smise.

Tirò indietro i capelli che gli erano ricaduti sul viso con un movimento rapido del capo e si sedette meglio, per trovare una posizione più comoda.

Tornò a suonare, riprendendo la musica dove l'aveva lasciata.

Quando a un tratto accompagnò i suoni con la voce, Aziraphale si rese conto di trattenere il fiato. Crowley aveva una voce chiara e limpida e cantava una melodia senza parole. L'angelo invece riuscì a sentirci tutte le storie del mondo. Parlava della fine dell'estate e della dea che regalava i suoi frutti agli amati figli. Parlava del pianto di un bimbo appena nato, delle risate di un innamorato, del lamento di una vedova. Canti di guerra, canti d'amore, il dolore di un cuore spezzato.

Più di tutti, quello.

Crowley cantava per se stesso, per le sue ali nere e per il Paradiso perduto. Per le nascite e le morti, per il corso del tempo e per il creato intero.

Senza aver usato alcuna parola reale, aveva cantato di ogni sua esperienza, ogni suo pensiero rabbioso e infiammato, ogni suo dolore e ogni sua vittoria.

Aziraphale ascoltava incantato, rinchiuso in una bolla fatta di un sole morente, delle vibrazioni di quella musica improvvisata, del profilo adunco di Crowley e dei movimenti delle sue labbra, del pomo d'adamo sul collo magro che modulava la voce, delle vibrazioni dissonanti del kinnor.

Non si accorse quasi quando la musica terminò, tanto era perso nell'immaginazione. Si riscosse, frastornato, col cuore traboccante di troppe emozioni, gli occhi gonfi di lacrime che non sapeva di aver pianto. Si rese conto che Crowley lo stava fissando, gelido, con le pupille verticali, strette in due sottili fessure. Il contrasto con l'espressione assorta e rapita di appena poco prima fu come uno schiaffo. L'angelo si rese conto di aver interrotto un momento privato, e si sentì impacciato, di troppo.

Balbettò qualcosa a mo' di scusa, prima di voltarsi goffamente e allontanarsi.

Crowley lo lasciò andare, seguendolo con lo sguardo.

***

Crowley si era accorto della presenza di Aziraphale ancor prima che lui arrivasse su quella collina: era sopravento rispetto a lui e l'odore della sua pelle era inconfondibile. Il demone lo aveva sentito e aveva deliberatamente scelto di cantare. Non aveva usato parole, ma era certo che Aziraphale avrebbe compreso. Aveva voluto che Aziraphale lo ascoltasse.

Ma questo sarebbe rimasto per sempre un suo segreto.

Note.
Perdonatemi, qui una nota è d'obbligo. I canti hurriti sono la più antica melodia di cui ci sia arrivata notizia, e di uno in particolare, il canto di Nikkal, ci sono arrivate anche le istruzioni su come suonarlo: Veniva utilizzata una sorta di lira che è appunto il kinnal. Questo tipo di lira è di origine siriana, ma in Israele lo stesso strumento è noto anche come Lira di Megiddo. Il richiamo era troppo forte e non potevo non sfruttarlo. 

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