Fulda, Germania, 1455
(annusa)
Erano ormai parecchi anni che quel monaco dai capelli chiarissimi, quasi argentati, dimorava nell'abbazia benedettina di Fulda.
L'abate Erinhard da Whelnau era un uomo pio ma dal pugno di ferro, e osservava spesso i suoi frati perchè fossero ligi alla regola del loro fondatore Benedetto. Non tutti loro erano perfetti. C'erano battibecchi, a volte qualcuno mostrava ambizioni o inclinazioni poco adeguate alla loro scelta di vita, ma non quell'uomo, il quale oltre ai modi aveva anche un nome angelico, Aziraphale. Era quieto, silenzioso, passava quasi tutto il suo tempo nello scriptorium.
La verità era che per Aziraphale quello era un luogo di beatitudine. Non esisteva nulla di meglio per lui che vivere in mezzo alle sue pergamene, traducendo da lingue antiche e ormai dimenticate testi di ogni genere. Amava farlo, amava i libri che venivano meravigliosamente abbelliti dai frati miniatori. Amava la trama spessa della carta, le lettere appuntite che la adornavano, amava il pigro grattare dei calami delle penne, il fruscio dei fogli che venivano spostati una volta terminati e perfino il basso brusio che di tanto in tanto riecheggiava nello scriptorium. Ma più di ogni altra cosa, amava il profumo della carta. Che fosse nuova, appena preparata, o antica di secoli, ognuna aveva quell'odore familiare che lo faceva sentire sempre a casa.
Se qualcuno glielo avesse chiesto non avrebbe saputo dare una risposta precisa. Aziraphale non indugiava spesso su questo tipo di pensieri perchè, semplicemente, non era tipo da dare troppa importanza alla sfera sensoriale. Era un angelo, un essere emanato direttamente da Dio nella Sua saggezza, e aveva un corpo materiale solo perchè ne aveva bisogno. Non poteva indulgere sui piaceri fisici, ma non poteva nemmeno impedire al suo corpo sentire.
Quel tipo di profumo era sempre stato incredibilmente bello e puro per lui, perchè foriero di immagini, saggezza, meraviglia. Era sì un piacere, ma sublimato, perfetto.
Quel giorno sembrava che ci fosse fermento in abbazia. Perfino Aziraphale scese nella corte ad ascoltare il vocio eccitato dei frati. Un messaggero era arrivato per invitare l'abate a Magonza, distante appena qualche giorno di cammino (poco meno a cavallo), per osservare una nuova invenzione di un orafo che prometteva di riuscire a produrre un intero libro in pochi giorni invece che in mesi. Sembrava incredibile.
Così incredibile che l'abate si rifiutò di compiere un viaggio e di allontanarsi dal monastero per una sciocchezza simile. Aziraphale invece, incuriosito, gli chiese licenza di poter seguire il messaggero fino a Magonza per poi riportare presto notizie. Erhinard glielo concesse.
Aziraphale era avvezzo a cavalcare, sebbene non gli piacesse, e il viaggio durò solo tre giorni.
Magonza era poco più che un villaggio a quel tempo. Non differente da tanti che aveva visto in passato.
Il messaggero lo portò direttamente alla casa di Mastro Johannes Gutenberg. Qui Aziraphale venne salutato con la deferenza che si confaceva a un monaco benedettino, e venne portato immediatamente a vedere quella nuova meraviglia.
Era incredibile vedere quell'uomo comporre una lastra con centinaia di caratteri, ognuno dei quali rappresentava una lettera. Ancor più incredibile vedere come quel torchio riuscisse ad imprimere sulla carta una pagina intera in pochi secondi. Aziraphale osservava il foglio finito tra le mani con infinita meraviglia, il cuore che batteva e il pensiero che correva in avanti, intuendone le possibilità infinite.
Il sapere non sarebbe andato perduto. Sarebbe stato trasmesso, ampliato, decuplicato. E così i trattati, i pensieri umani, perfino, chissà, le loro emozioni. Fino a quel giorno era stato impossibile scrivere altro che di grandi argomenti, ma il futuro gli sembrava ricco di promesse e gli si riempì il cuore di orgoglio per quella meravigliosa umanità, che era in grado di stupirlo con la sua inventiva, che ogni volta gli insegnava qualcosa.
Londra, 1960 circa
Seduto alla sua scrivania, l'angelo stava ricordando quei giorni.
Nella sua lunga, lunghissima vita aveva perso molte cose e molte le aveva semplicemente lasciate andare. I libri erano la sua unica costante da quando erano stati inventati, parecchie centinaia di anni prima. Come aveva previsto la stampa aveva permesso la diffusione dei libri, della scrittura e della lettura.
A volte Aziraphale si sentiva quasi travolto. Prima la vita scorreva lenta, seguiva il ritmo del sorgere del sole e l'avvicendarsi delle stagioni. Gli ultimi cento anni erano stati invece una corsa a ritmo sempre più rapido e tutto era troppo cambiato perchè lui tenesse il passo. Viveva in quel suo angolo a Soho in cui aveva fermato il tempo e si era circondato delle cose che più amava. Profumava di casa perchè era piena di libri. Ne aveva accumulati tantissimi di epoche disparate e li conservava gelosamente perchè ognuno di essi celava un ricordo.
Una conversazione con Galileo Galilei. Un miniaturista benedettino dai capelli fulvi che gli aveva sempre fatto pensare a Crowley, per quanto quel paragone fosse assurdo. La perduta biblioteca di Alessandria, di cui aveva pochissimi papiri bruciacchiati. John Keats, con la sua passione e i suoi grandi occhi tristi. Platone. Charlotte Bronte, Milton e Blake e centinaia di altri. Le loro vite e le loro menti brillanti, i loro cuori traboccanti di immagini erano racchiusi in tutta quella carta, e lui non avrebbe mai dimenticato quanto gli avevano donato nel corso del tempo. Per questo, di tanto in tanto, li apriva e ci poggiava il viso, ad inalare passato e ricordi. Per questo i libri erano i suoi migliori amici.
Crowley entrò nella libreria proprio mentre Aziraphale formulava quell'ultimo pensiero.
L'angelo si scrollò di dosso la dolce malinconia che lo aveva avviluppato e gli sorrise, accogliendolo con calore.
In un piccolo rituale che seguivano da ormai molto tempo, gli preparò il solito the che il demone accolse con la solita malagrazia e i soliti sospiri malcelati, a significare che avrebbe preferito altro.
La libreria di Aziraphae era per Crowley un luogo da cui poteva escludere i suoi pensieri confusi, il caos interiore, il fuoco che gli ardeva dentro e che gli bruciava la mente. Li lasciava sull'appendiabiti insieme alla giacca e li indossava di nuovo quando usciva.
L'odore di quel posto, quello del the e della carta polverosa erano familiari e accoglienti, e lui si accontentava di quello in fondo: un po' di oblio. Ma più di tutti quelli la sottile, quasi impercettibile fragranza antica e dolce che gli accarezzava le narici ogni volta che era vicino ad Aziraphale.
Quello, per lui, era odore di casa.
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Il senso della vita - Good Omens Collection
FanfictionRaccolta di Missing Moments. Crowley e Aziraphale scoprono il mondo, ed imparano ad amarlo, tramite l'esperienza sensoriale. Ogni capitolo sarà incentrato su uno dei cinque sensi.