Sale

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Betlemme – Anno Zero.

(lecca)

Era stato un grande giorno per Aziraphale. Per lui, e per tutti coloro che venivano dal Paradiso. In molti, più o meno in silenzio e in privato, avevano osservato la nascita del loro Signore.

Un bimbo, è solo un bimbo.

Aziraphale era sì felice, ma anche preoccupato. In fondo, su quell'unico bambino gravava il peso di una enorme responsabilità. Era così piccolo. Il libero arbitrio che gli uomini avevano ottenuto migliaia di anni prima avrebbe fatto sì che lui, per quanto Figlio di Dio, avrebbe potuto scegliere la sua strada. Aziraphale si augurò che la vita non fosse troppo dura con quel povero piccolo.

***

Re Erode, nel suo palazzo a Gerusalemme, aveva sentito parlare di quel bambino, questo neonato che veniva chiamato il Re dei Giudei. Nessuno poteva appellarsi di quel nome, a parte lui. Aveva ordinato a quegli stolti Magi di mostrargli il bambino, ma quelli avevano intuito il suo tentativo di inganno e non erano tornati a riferirgli nulla. Come sempre, avrebbe trovato da solo la soluzione.

Poco importava che lui non conoscesse l'identità del bambino: si sarebbe sbarazzato di tutti quelli nati nel villaggio negli ultimi due anni. Betlemme era un piccolo centro, e da quello che gli riferirono i suoi funzionari, non dovevano esserecene più di una ventina. La gente si sarebbe lamentata, ma lui avrebbe fatto passare a fil di spada tutti quelli che si sarebbero opposti.

Venti piccole anime che non aveva alcun rimorso a sacrificare, per conservare il suo trono.

***

Aziraphale svegliò Giuseppe nel cuore della notte.

"Devi scappare" gli disse, circonfuso di luce e con le ali spiegate "Prendi tua moglie e il tuo bambino e vattene. Non siete al sicuro. Tornerete quando i tempi lo permetteranno" aggiunse, con un tono forte e squillante, che non ammetteva repliche. Poi, divenne sempre più luminoso e accecante e scomparve alla sua vista.

In silenzio, aspettò che Giuseppe e Maria radunassero le loro poche cose e si mettessero in viaggio. Solo quando li vide allontanarsi dal villaggio e camminare frettolosamente nel buio, si permise di tirare un minuscolo sospiro di sollievo.

Era riuscito a salvare il Figlio di Dio, ma la notte era ancora lunga.

Si torse le mani, impotente. Perchè Lei permetteva quelle cose? Erano solo BAMBINI. Non meritavano tutto questo.

Udì le urla che venivano da una casa vicina. I soldati di Erode si allontanavano, col sangue che gli gocciolava scuro e osceno dalle spade corte. Una madre piangeva, in ginocchio, con un fagotto inerte tra le braccia, mentre il marito di lei era semi sdraiato a terra, svenuto, con una una chiazza rossastra che gli imbrattava una delle maniche della tunica strappata.

Insieme a loro, una figura abbigliata in lunghe vesti nere e scarmigliata, con una massa di capelli rossi fiammeggianti anche nel pieno della notte, urlava di rabbia impotente.

Crowley.

Non lo aveva mai sentito urlare così. Nemmeno di fronte alla prospettiva del diluvio.

Ebbe timore di lui. Timore della sua rabbia, timore del suo sguardo che – lo sapeva – sarebbe stato accusatorio. Rimase immobile a guardarlo a distanza di una ventina di metri. Crowley alzò lo sguardo, le pupille verticali ridotte ad una fessura quasi invisibile, gli occhi velati di pianto. L'espressione era folle, così piena di dolore che Aziraphale pensò che non lo avesse nemmeno riconosciuto, nemmeno visto.

Non potè aspettare oltre.

Quello sguardo lo avrebbe tormentato per secoli: lo aveva trapassato come una lama di ghiaccio e si sentiva sanguinare, come se gli avesse squarciato il cuore. Ancor più che la strage di quei poveri innocenti erano stati gli occhi di Crowley. Demone, ma più umano degli stessi umani, in grado di pensare a eccidi tanto orribili. E lui si sentì inutile, inerme.

A cosa era valso salvare il Figlio di Dio, se gli altri figli di Dio morivano così? Si uccidevano l'uno con l'altro, senza pietà, senza rimorso, senza curarsi di null'altro che la propria ambizione.

Corse verso Crowley, dimentico dei suoi timori di un attimo prima.

Lo strinse, lo portò via lontano, mentre il demone continuava ad urlare frasi incoerenti verso le stelle, verso Dio, verso chiunque. Crowley pianse e pianse, gridando, finchè non gli rimase altro che il vuoto e un dolore sordo, intollerabile.

Si rese conto che Aziraphale lo stava ancora tenendo stretto. Era rimasto con lui.

La notte stava volgendo alle prime luci dell'alba, e un vago chiarore azzurrino, freddo, li illuminava entrambi.

"PERCHE'?" disse soltanto, in un ultimo, debole ansito.

"Io... non lo so" rispose l'angelo con la voce rotta.

Aziraphale allungò un dito a sfiorargli il volto scarno. Poi, gli posò le labbra su una guancia: sentì sulla lingua il sapore salato e puro di un'ultima lacrima, scesa clandestina quando il demone credeva di non averne più neanche una.

"Non lo so" ripetè "Perdonami".

Il senso della vita - Good Omens CollectionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora