Capitolo II - Nonnina Veggente

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"Profeti del tempo. Come le nuvole ci rivelano in che direzione soffiano i venti in alto sopra di noi, così gli spiriti più leggeri e più liberi preannunciano con le loro tendenze il tempo che farà."
-Friedrich Nietzsche


Scendo le scale dell'hotel, dopo un lungo riposino ho voglia di esplorare l'edificio. Mi sono cambiata d'abito, ne indosso uno più semplice e comodo, ma non ho abbandonato lo scialle, se lo vedesse mia mamma mi darebbe della vecchia zitella, ma chissenefrega. Curiosa mi guardo intorno, uomini e donne borghesi siedono conversando allegramente in piccoli tavoli in legno pregiato, qualcuno si versa un tè caldo, altri bevono caffè o cognac. Individuo i miei genitori seduti con i proprietari, il figlio gironzola per l'hotel servendo dolcetti agli ospiti. Ed io che credevo che i figli dei ricchi proprietari fossero ragazzi snob, con l'unico scopo di aggirarsi nelle sale a illustrare i pregi e gli averi della famiglia. Invece Ulrik, che nome singolare, si comporta come un comune inserviente e mostra umiltà con i suoi ospiti. Davvero un ragazzo con una buona educazione, mi permetto di dare il merito alla madre, poiché il padre è troppo simile al mio.
Controvoglia mi avvicino a loro e fingo allegria, appena mia mamma si accorge della mia presenza si avvicina e mi abbraccia stretta stretta e sussurra arcigna: «Non te l'avevo bruciato quel coso?»

Rido appena e tre teste si voltano a guardarmi. Roberto e sua moglie con un sorriso inquietante e papà perso in qualche suo strambo ragionamento.

«Ho tanti scialli mamma, mi tengono al caldo e sono comodissimi.» Le sussurro sorridente.

«Oh ma sembri una vecchietta bambina mia, chi ti vorrà sposare conciata così? E un abito più bello no? Ne hai così tanti di meravigliosi che non hai mai indossato. Non te li ho messi nella valigia per niente.» Eccola che ricomincia, sbuffo esasperata e lei continua inviperita «Finirai zitella e matta come la cugina di tuo padre, Geltrude, ma io lo impedirò fosse l'ultima cosa che faccio.» Con determinazione mi da un pizzicotto sul collo e poi mi lascia andare e mi trascina a sedere con loro.

I divanetti sono comodi e di colori scuri, opachi, li accarezzo con una mano incantata, vorrei tanto un divanetto così a casa mia, mi addormenterei seduta stante.

«Dormito bene Dafne?» Roberto sostiene il bicchierino di cognac con leggerezza e lo gira, osserva con attenzione il liquido muoversi, come un'onda attraverso il bicchiere trasparente.

«Si si, stanza impeccabile e letto altrettanto comodo.» Rispondo distrattamente, rapita dai movimenti dei camerieri danzanti intorno a me o forse troppo vogliosa di assaggiare quei dolcetti che tutti gli altri assaporano golosamente. Sono un'amante dei dolci, è facile rapirmi con essi.

«Oh bene bene, il meglio per la figlia di questo farabutto di Fernando.» Ma perché chiama mio padre "farabutto" proprio non l'ho capito.

Come se fosse la battuta del secolo, ma forse è davvero convinto che sia così, tutti ridono, tranne me. Mia mamma mi da una gomitata potente e capendo l'andazzo fingo una risata, molto imbarazzante, anche io. Certo mamma ha ragione, dobbiamo assecondarli per il loro generoso sconto.
Poi Roberto si rivolge a sua moglie, con un'espressione esasperata in volto. Ed io che credevo che sorridesse sempre.

«Cara, non avevi detto a tua madre di rimanere in camera?» A quanto pare al simpaticone Roberto la suocera non piace. Prevedibile.

Volto lo sguardo su una figura piccola, gobba e dalla chioma bianca. Le mani unite davanti a se, con una camminata cadenzata e un'espressione serena in volto. Gli occhi cristallini, vispi e curiosi. Nota la nostra presenza e con calma ci raggiunge, non prima di aver fermato il nipote tirandolo per la camicia, il giovane si abbassa e accarezza la nonnina sulla guancia e annuisce alle parole, non udibili, dell'anziana.
Elin si alza e accoglie la madre con apprensione.

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