Capitolo III - Il Freddo Della Norvegia

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"No, il fatto è che qui il sole non splende; il sole norvegese è una luna, una lanterna che mette in grado i Norvegesi di distinguere il nero dal bianco. "
-Knut Hamsun

Mi copro il viso col colletto del cappotto, il freddo pungente della Norvegia giunge fino alle dita dei piedi e punge come un ago. Ulrik al contrario di me, cammina al mio fianco tranquillamente, immune al freddo e fischiettando allegramente.

«Scusa Ulrik, ma dove stiamo andando esattamente? Siamo in mezzo al verde e più che foglie, alberi e terra non vedo.»

«Abbi pazienza, la casetta di nonna è qui vicina.»

«Casetta?»

Lui in tutta risposta annuisce e poi mi indica, puntando un dito, una piccola e graziosa abitazione in lontananza, proprio al centro di un laghetto pieno di alghe, un isolotto privato. Completamente in legno, si sposa alla perfezione con l'ambiente che ci circonda. La casetta, è raggiungibile tramite un ponte dello stesso materiale ben robusto ed è circondata da diverse piante e alberi ampi dai lunghi rami. Dal tetto esce una fumera colorata mai vista prima.
Strabuzzo gli occhi e Ulrik mi guarda imbarazzato, seguendo il mio sguardo.

«Credo che nonna stia studiando ancora quel nuovo intruglio, che lei chiama pozione.»

«E fa questi colori?» Sono dubbiosa e curiosa allo stesso tempo.

«Si, però non ho ben compreso come funziona. Mia nonna non è tanto normale, come puoi aver ben capito.» Nel mentre si incammina, controllando che io, poco più indietro, lo segua. Lo ringrazio mentalmente per la premura.

«Beh sì, ma non mi sembra cattiva. Solo particolare.»

«Mia mamma non la pensa così e nemmeno le altre persone dell'hotel. Per questo mio padre non vuole che viene da noi, per non mettere in cattiva luce l'hotel. Inoltre, una volta, ha quasi fatto esplodere le cucine e c'era un odore di zolfo tremendo.» Mi rivela, con una punta di orgoglio, forse è l'unico della sua famiglia che apprezza davvero sua nonna.

Rido immaginando la scena e seguo Ulrik, ben attenta a tenermi al pontile, anche se esso sotto i miei piedi è stabile e non traballa.

«Tua nonna non ha paura di vivere qui tutta sola?» Non posso fare a meno di domandare. Io sarò anche una giovane donna che ama i libri d'avventura, ma vivere da sola così, in mezzo al nulla, non ci riuscirei mai e nemmeno lo immagino.

«No, lei è abituata e dice che non è sola. Pensa che farnetica su un popolo che ha bisogno dei suoi servigi, per questo vive qui, per loro. Ogni volta che ne parla fingo di ascoltarla, giusto per renderla contenta, però non riesco a fregarla sempre.» Ulrik ride, probabilmente pensando anche a qualche ricordo.

«È un bene che non si sente sola, mi sembra una nonnina molto vispa comunque.» Inciampo, maldestra come sono, su una radice ben evidente nel terreno e cado sulle ginocchia con i palmi aperti.

«Oh Dafne...» Ulrik mi aiuta ad alzarmi e quando lo guardo non posso fare a meno di notare un sorriso trattenuto sulle sue labbra.

«Ulrik, lo so che ti stai trattenendo dal ridere, vedo il sorriso che combatte e la risata pronta a emergere.» Lo guardo con un leggero imbarazzo, so di essere maledestra a livelli assurdi, ma comprendo anche come posso sembrare buffa dall'esterno.

Difatti Ulrik ride, senza contegno ed io lo lascio fare, muovendo il capo con un leggero sorriso e prendendomi allegramente a braccetto attraversiamo il pontile, fino ad arrivare al portone della nonnina. Non mi preoccupo di togliere il terriccio dal capotto, sarebbe inutile e credo che la nonnina non ci faccia poi tanto caso.
Non abbiamo nemmeno il tempo di bussare alla porta, che questa si apre rivelando la graziosa nonnina.

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