Capito V - Carte e Denaro

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" Ho smesso di domandarmi perché. Ogni problema è un'opportunità."
- Ezio Bosso

Questo corridoi è pieno di uomini e non passo inosservata nemmeno se ci provo, cerco di evitare i loro sguardi che non hanno nulla di buono e ignoro i commenti scortesi e per nulla velati. Buffo come appaiono certi uomini in compagnia dei loro simili, sono lupi che hanno patito la fame; una carestia di donne. Eccola, la vedo, la porta rossa vermiglia, da essa proviene la melodia di un violino ben distinta, accelero il passo e afferro il pomello e la spalanco in un colpo deciso; la porta della lussuria e del peccato. Donne svestite e molto truccate siedono sulle ginocchia di uomini d'ogni età, altre si aggirano a servire alcolici ad ogni angolo della sala e altre cantano e ballano in un piccolo palco visibile a tutti. L'arredo è simile a quello di un bordello; divani e poltrone nere e rosse, tavoli in legno con i giochi d'azzardo più in voga e piante in vasi grandi nei punti più strategici, per velare qualche bacio o tocco di troppo a chi, oltre che a guardare, potrebbe spifferare qualcosa di troppo a una moglie. Gli uomini qui sono tanti e io sono l'unica donna vestita a modo, eppure i loro sguardi riescono a bruciare i miei abiti. Chiudo gli occhi per un solo breve istante e dopo un respiro profondo, li riapro e alzo il mento e cammino spedita alla ricerca di mia padre. Qualcuno mi rivolge un cenno d'invito, ma io procedo dritta e poi eccolo, impegnato a spendere i nostri unici pochi soldi con una partita a roulette russa, a bere in compagnia di Roberto e a braccetto di quest'ultimo vi è una signorina, uguale alle altre della sala, lo mangia con gli occhi e senza alcun pudore gli mostra la sua mercanzia con grazia studiata. Povera moglie ignara dei peccati del marito, povere donne succubi di uomini affamati di femmine volgari, povere illuse e sciocche mogli innamorate e seconde alla amanti. Mio padre ride, ma finge, perché ha quello sguardo, lo sguardo che ha sempre avuto quando è consapevole di star perdendo tutto e poi mi vede e il suo corpo si irrigidisce come un tronco di guercia. Io d'altro canto cammino lentamente, finché arrivo al suo fianco e anche Roberto, finalmente mi nota, non è per nulla velata la sua sorpresa e in fretta scansa, in malo modo, la donna. Rimango seria, come ho sempre fatto in queste situazioni, non è la prima volta che osservo una partita di poker all'Italiana e, non è di certo la prima volta che, corro in soccorso di mio padre.

«Dafne, figlia mia, come mai qui? Te l'ha detto tua madre forse?» Affannato e sgraziato, pentito e disperato; così appare mio padre.

«Si, dovreste andare da lei. Ma prima, ditemi, come procede la partita?» Osservo le carte e i pochi spiccioli di mio padre, che tiene sempre sotto il suo sguardo.

«Oh Dafne, oggi non è il giorno fortunato di tuo padre. Sta perdendo tutto, ma è anche questo il divertimento no? Tra poco inizia un'altra partita.» Roberto inclina il capo all'indietro in una sciocca e assurda risata.

«Magari è il mio giorno fortunato Roberto, non credete che anche io possa tentare la sorte?» Lo sfido con un leggero sorriso, lui spalanca gli occhi e tossisce un poco, al contrario mio padre mi guarda riconoscente, come ogni volta.

«Voi? Una signorina? Perdonatemi ma, queste non sono cose da donne.»

«Credo che potrei dimostravi il contrario, se gli altri giocatori non hanno nulla in contrario ovviamente.» Senza aspettare risposta mi siedo, sotto lo sguardo di altri quattro uomini, compreso mio padre.

«Nessun problema signorina, in ogni caso vostro padre avrebbe perso comunque, non fa differenza se a giocare è una donna. Dico bene signori?» Un gentiluomo moro, di bell'aspetto è stato a parlare, è inglese lo si capisce dal suo accento, ma è quasi un italiano perfetto io suo.

«Ja, la oss se hvordan denne lille jenta leker.» Un uomo norvegese, che non comprendo mi sorride, mio padre è pronto a tradurre e lo ringrazio con un sorriso.

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