Capitolo 4

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𝓦illow

≪James!≫ il suo nome fuoriesce in uno strillo abbastanza acuto. ≪Cosa ci fai qui?≫

Mi schiarisco la voce, cercando di ritrovare la compostezza persa.

≪É questo che stavamo cercando di dirti, Willow!≫ prorompe mia madre, sistemandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli caduta davanti agli occhi. Sventola una mano all'aria, indicandomi, mentre sussurra qualche parola che fa prontamente annuire Micheal.

Sbuffo prepotentemente. ≪Allora spiegatemelo!≫

Sono a dir poco irritata e ho i nervi a fior di pelle per colpa della situazione ribaltatasi drasticamente in pochi minuti. Picchietto il piede contro il pavimento, puntando gli occhi su un vaso lungo che mia madre ha acquistato anni indietro e di cui è andata pazza per le prime ore, per poi dimenticarsene e, delle volte, scontrarcisi anche.

Con le dita districo i miei capelli dai nodi formati; un usuale e quasi autonomo gesto quando l'ansia o la frustrazione mi sormontano a ondate, e perdo per vari secondi la percezione del mondo attorno a me. Do poca importanza alla rapidità con cui gli occhi di James saettano sul mio corpo e, al posto di rivolgermi un'espressione impietosita visti tutti i chili persi in poco tempo, mi regala un'occhiata rassicurate addolcendo i suoi tratti.

≪Facciamola breve...≫ inizia mio fratello, sovrapponendosi alla voce lamentosa di mia madre. James mi raggiunge, posizionando i palmi aperti sulle mie spalle, e strattonandomi leggermente per ottenere tutta l'attenzione su di sé. Piega le ginocchia, abbassandosi alla mia altezza. Il lampo sardonico che attraversa le sue iridi alla vista della mia bassezza  evidenzia le sfumature dei suoi occhi, e il mio lato caratteriale a dir poco permaloso prende possesso dei muscoli del mio volto, imbronciandomi.

James ha avuto la fortuna di possedere il gene che ha me, purtroppo, è stato tolto fin da quando sono nata: quello dell'altezza.

Immergo lo sguardo nei suoi occhi, come se potessi vedere riflesse le immagini di noi due da bambini, quando ancora non sapevamo il vero significato della parola perdere. La associavamo a un gioco, una solita sfida tra i Clark oppure i paragoni ingiusti creati dai nostri genitori, ma mai a una persona; nessuno dei noi due pensava di dover lasciare qualcuno, un giorno.

Scrollo impercettibilmente il capo, obbligandomi a lasciare una parte del passato alle spalle.

La voce di mio fratello e le sue dita stette attorno al mio corpo non fanno altro che provocarmi scariche dolorose alimentate da ricordi, e il tremore impercettibile che prima possedeva le mie mani, adesso sconquassa ogni mio arto.

≪Prendi le valigie e porta il tuo sedere in macchina!≫ James strepita ironico, risvegliandomi dal mio nuovo stato di trance.

Fa scivolare via i palmi dalle mie spalle, camminando all'indietro e gesticolando fino a uscire dal soggiorno principale. Osservo il punto in cui mio fratello è sparito per vari secondi, inarcando un sopracciglio con un'espressione perplessa: una persona estranea che non lo conosce potrebbe pensare che lui sia un maniaco; e non mi sorprenderei se trovassi le sirene accese di un'autovettura della polizia fuori dall'enorme cancello in ferro di casa. Non per volermi sentire superiore a qualcuno, ma l'unica delle famiglia con un cervello quasi funzionante sono sempre stata io, tralasciando le parti in cui c'è Kenneth tra i paraggi...

≪Per quale motivo devo portare le mie valigie in macchina di James?≫

Il sospetto che prima percepivo, adesso ha un fondo sicuro.

≪Willow, noi non pensavamo che tu tornassi qui a Manhattan per le vacanze natalizie, e abbiamo deciso di invitare tutti i parenti per festeggiarlo in famiglia, dando a loro la tua camera e quella di tuo fratello.≫ Spiega mio padre, e io mi affretto a trovare una risposta. Cerco, esploro nei meandri della mia mente, ma rimango comunque senza parole. Un solo rantolo esasperato fuoriesce dalle mie labbra dischiuse, mentre strabuzzo in contemporanea gli occhi.

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