CAPITOLO 1

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Il silenzio era la parte peggiore.
Percy lo aveva notato quando era tornato al Campo, dopo che era stato ricostruito dalla guerra contro Gea.
C'era sempre stato rumore, lì.
Passi di mostri, le loro lotte, i loro ringhi.
Non si poteva dormire facilmente, un occhio sempre aperto per trovare le minacce prima che potessero essere vere e proprie minacce.
Adesso, Percy aveva difficoltà a dormire.
Stava aspettando la minaccia da affrontare, per tenere al sicuro i suoi amici, Annabeth.
Aveva fallito, nel Tartaro. Aveva visto la paura nei suoi bellissimi occhi grigi,  un faro scintillante nel rosso Tartaro.
Aveva fatto capire a Percy che non era capace di salvare nessuno, di tenere al sicuro nessuno.
Lo aveva fatto sentire il mostro a cui dare la caccia. Il vero pericolo.
Non ne avevano più parlato, un segreto tenuto nascosto a tutti, una colpa che non si discuteva per non rivelare a tutti che rabbia si nascondesse in Percy, un serpente pronto a consumare tutto in lui.
Un veleno che avrebbe consumato tutto quello che c'era di buono al mondo.
Avrebbe dovuto capire prima il pericolo che comportava per gli altri.
Lo avrebbe dovuto capire da quel disegno che Rachel aveva fatto, dove il suo viso, crudele e intenso, mostrava la sua violenza interiore.
Poseidone veniva spesso chiamato il padre dei mostri. Percy era stato ingenuo nel credere di poter essere diverso da tutti i suoi fratelli.

*****

Doveva essere un incontro divertente.
Un semplice torneo, un incontro per testare le abilità di semidei greci e romani, senza guerre o sfide pesanti.
Duelli, che sarebbero stati seguiti dai giochi di guerra dei romani e una caccia alla bandiera dei greci.
Non era pericoloso, non poteva essere il preannuncio di una guerra più grande, perché Gea era stata rimandata nel suo sonno, sconfitta dal fuoco e lontana dal suo regno di influenza. Come lei aveva fatto a suo marito, così avevano fatto con lei i semidei.
Rachel non aveva recitato nessuna profezia ed erano in tempo di pace, decisi a goderselo il più possibile.
Quindi, Percy non aveva avuto alcun motivo per agire come aveva fatto.
Era una sfida tutti contro tutti, e alcuni semidei si erano uniti per affrontare Percy, cercando probabilmente di portare la sfida a un livello di pareggio.
Ma, mentre parava affondi e cercava di mettere a segno delle stoccate, uno contro cinque, dieci, quindici, Percy si concentrò solo sul sapore del sudore che gli scendeva dalla fronte, l'odore del rame, tipico del sangue, troppo facile da riconoscere per il semidio, i rumori delle spade che si incontravano sul campo di battaglia.
Era ancora lì.
Vedeva segugi infernali, dracene, Gerione che guidava i mostri verso gli ascensori, dove Krios e Iperione erano impegnati a fare la guardia, ma non per molto, perché presto sarebbero stati fatti in cenere, distrutti da Lui, dall'unico immortale che aveva davvero importanza lì dentro, lì sotto.
Se Damaseno non fosse arrivato presto, la stessa identica sorte sarebbe presto toccata a Percy e Annabeth, Percy doveva almeno fare uscire la sua amica da quel posto, glielo aveva promesso.
"Percy! Percy! Va tutto bene, sei al sicuro, al Campo."
La voce di Annabeth lo fece fermare.
Percy sbattè le palpebre.
Davanti a lui, i venti semidei che lo avevano sfidato erano a terra, feriti, per fortuna non gravemente.
L'arena era inondata di acqua, tutti fermi a osservarlo.
Percy fece un passo indietro, lontano dai suoi amici, dal danno, l'ennesimo danno, che aveva provocato.
La voce dolce della sua migliore amica continuava a raggiungerlo.
"Bravo, sei al sicuro adesso. Non devi continuare a combattere, puoi fermarti e riposare."
Non doveva continuare a ferire i suoi amici. Ma Percy non faceva altro, ormai da molto tempo. Era pericoloso, una macchina da guerra progettata per ferire e per uccidere.
Non era fatto per la pace, non era capace di essere buono, carino, gentile.
Era un pericolo per tutti, una bomba in procinto di esplodere e distruggere tutto il buono del mondo. Una bomba capace di eliminare la speranza senza bisogno di aprire il vaso di Pandora.
Un pericolo per tutti i suoi amici.
Il pericolo per i suoi amici. L'unico vero pericolo che avevano davvero affrontato.
Percy si allontanò sempre di più, lontano da Annabeth, spaventato dalla prospettiva di ferirla, di farle male, di rovinare anche lei, di più di quanto non avesse già fatto.
Vide le espressioni spaventate dei greci, guardigne dei romani, che avevano visto confermata la loro paura verso Poseidone/Nettuno e i suoi figli.
Il padre dei mostri e i suoi figli mostruosi.
Chi lo metteva in evidenza, come Polifemo o Carridi, e chi era capace di nasconderlo, come Percy.
Il semidio fece un altro passo indietro e Annabeth cercò di fermarlo, ma il semidio non poteva ferire nessun altro.
"Devo andare... io, devo chiamare la mamma... ci vediamo a cena."
Percy si voltò e corse via.
Il Campo avrebbe dovuto essere un posto sicuro per i semidei. Ed era arrivato lui a renderlo pericoloso, sin dai suoi undici anni.
Era il vero mostro.

Angolo autrice
Ehy!
Questa storia è ispirata a Komorebi di TheProfoundSilence. È una specie di prequel.
Faccio molta fatica a descrivere bene le conseguenze del PTSD, ma in questo capitolo Percy ha un flashback del Tartaro, quando passa dall'allenamento con i semidei a pensare al Tartaro e i mostri lì dentro. E i pensieri negativi su se stesso sono in parte dovuti all'infanzia con Gabe e in parte dovuti proprio al PTSD, insieme al cattivo umore e all'insonnia.
Ditemi se avete delle note per me!
Alla prossima
By rowhiteblack

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