𝗜 𝗰𝗮𝗻'𝘁 𝗹𝗲𝘁 𝗴𝗼

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La scuola di Porschè non dista tanto da casa.

Ma l'idea che possa aver saltato scuola, pur di dirmi una bugia, è un pensiero costante che mi logora da stamattina. Dato che ieri sera è venuto in camera mia per giocare alla play station, immaginavo che potessimo passare un po' più tempo assieme, ma il venerdì non ha alcuna intenzione di saltare le ore scolastiche extra della settimana.

E io non posso obbligarlo a rimanere sveglio fino a tardi.

L'ho lasciato andare via, in camera sua.

Mi sono mangiato le mani per non avergli toccato la spalla, dopo averlo visto scavalcare il mio punteggio ad Apex con un urlo di soddisfazione.

Merda.

Davvero, lo sto facendo?

Mi sto rovinando l'intera esistenza per un ragazzino?

È un ragazzo minorenne.

«Anon, perfavore vai a fare pausa assieme agli altri. Io rimango qui ad aspettare Porschè, ma non avvicinatevi, va bene?»

Anon annuisce, china la testa e scompare oltre l'altra parte della strada, verso al baracchino che prepara ramen e riso con curry.

Porschè mi ha detto che la maggior parte delle volte va a mangiare lì, se non trova il tempo di tornare a casa prima delle tre. Ama mangiare il ramen, quasi quanto più del riso soffiato con i fiocchi d'avena al mattino, a differenza di tanti altri che a casa afferrano i toast della mensa e finisco per mangiare in fretta prima di iniziare il turno con Kinn al piano di sopra.

Porschè...

È un bambino, cazzo.

Rigiro le chiavi della macchina tra le dita, un sorriso mi spunta dall'angolo della bocca quando mi rendo conto che Porschè, che sta uscendo dall'entrata principale, con in mano un libro e lo zaino in spalla, si blocca sulle scale. Urta qualche compagno, impreca ad alta voce.

Inclino la testa di lato, prima di staccarmi dal finestrino della macchina contro cui sto appoggiato da un bel po'.

«Va via, Kim.»

«Non sei felice che sono venuto a prenderti a scuola?»

«Sinceramente? No, non capisco perché non mi ascolti mai e -»

«Non volevo che mangiassi da solo. Vuoi venire con me? C'è il bar dietro l'angolo che fa del cibo d'asporto, poi ti porto in un posto.»

Porschè abbassa il capo, sospira piano.

«Pensi che ce l'abbia con te? Ieri sera ero stanco, oggi avevo un compito molto importante e per questo me ne sono tornato in camera prima delle altre volte.» Ammette con un altro sospiro. «Davvero, Kim. Non sono arrabbiato con te, solo...»

«Che cosa?» Azzardo un po'.

Tu mi piaci, Porschè.

E non poco.

E non posso fare a meno di starti vicino, in qualsiasi modo. Per quanto possa risultare malato.

«Scusami per essere sempre venuto in camera tua negli ultimi giorni, ma avevo bisogno di distrarmi.»

«Da tuo fratello?»

Apro la portiera della macchina, Porschè si china e ci lancia dentro lo zaino con il libro.

«Mi puoi solo portare a mangiare?»

Annuisco.

Allungo d'istinto una mano verso la sua, ma la ritraggo non appena noto il suo sguardo perplesso.

☽ 𝗳𝗮𝗱𝗲 ᵏᶦᵐᶜʰᵃʸDove le storie prendono vita. Scoprilo ora