𝗦𝗼 𝘁𝗵𝗶𝘀 𝗽𝗮𝗶𝗻 𝗰𝗮𝗻 𝘀𝘁𝗮𝘆 𝗮𝘄𝗮𝘆 𝗮𝗹𝘄𝗮𝘆𝘀

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Merda.

Mi fa male la testa.

E non soltanto quella.

Non mi ha lasciato tregua per altre due ore, che cosa potevo fare? I miei doveri da fidanzato dovevano essere portati a termine, in un qualche modo.

Il problema è che ho male dappertutto, cazzo.

Scendo dal letto a piedi scalzi, prendo una maglietta abbandonata sulla sedia dal mucchietto di vestiti piegati e puliti dalla domestica la sera prima, prima di aprire la porta e dirigermi verso le scale, da cui si intravede già la luce del giorno.

Allento il cinturino dell'orologio al polso con le dita.

Le due e mezza?

Cazzo.

Ho dormito davvero poco.

Mi sembra di aver corso una maratona.

«Te lo giuro, Anon. Mi ha detto "Tu non puoi stare qui, non sei ricco!" prima di ricevere un mio calcio, nelle palle, davanti alla classe di francese.»

Sorrido d'istinto.

Chè è un vero osso duro.

Non ha paura di niente e di nessuno, ma questo non me l'ha mai raccontato.

Mi lecco le labbra, scendo le scale con un sospiro.

Anon alza lo sguardo dalla sua ciotola di porridge, fa per alzarsi dallo sgabello – ma lo blocco con un cenno rapido della mano – per poi sedersi di nuovo, abbassando un po' la testa come per salutarmi, in un qualche modo cortese.

Odio essere così schifosamente ricco.

So che il rispetto è qualcosa di essenziale, ma i miei bodyguard sono come una seconda pelle per me. Non devono essere feriti in alcun modo, e non devono inginocchiarsi di fronte a me per essere i miei schiavi.

Mi siedo al suo fianco, appoggio le braccia sul bancone della cucina, dietro a cui Chè sta dietro, davanti a un piatto di riso con uova.

«Ho cucinato il pranzo, immaginavo che dovessi andare all'Università.»

Sorrido un po'.

Mi spinge il suo piatto in avanti, appoggiandoci dentro cucchiaio e forchetta.

Prendo un po' di riso con la frittata in un cucchiaio, mi aiuto con la forchetta.

Noto Anon che coda dell'occhio mi osserva in silenzio, facendo finta di bere un caffè in tazza.

Assaggio.

Tengo la nuca bassa, mi appoggio poi con i gomiti intorno al piatto.

«Siamo sicuri che hai cucinato, Chè? È davvero pessimo.»

Chè alza un sopracciglio.

«Puoi sempre lasciarlo.»

«Anon, puoi andare a fare la spesa? La domestica se n'è dimentica. Mi raccomando, avvertila che staremo qui per qualche giorno, poi avverti qualcuno per fare i turni con te.» Aggiungo rapido, con ancora la forchetta e il cucchiaio infilzati nel riso, che tocco con la punta della posata. «E ricordati di dire a mio fratello che sono in sessione, non sono reperibile per questa settimana.»

Porschè schiude le labbra.

Si avvicina al frigo.

Anon annuisce con la testa, fa un veloce inchino prima di scomparire oltre la porta a vetri della cucina, che socchiude dietro di sé.

Porschè indossa la mia maglietta nera, che gli arriva quasi fin sopra le cosce scoperte, da cui si intravede l'orlo dei pantaloncini.

Anche i pantaloncini sono miei.

☽ 𝗳𝗮𝗱𝗲 ᵏᶦᵐᶜʰᵃʸDove le storie prendono vita. Scoprilo ora