Lisa

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Capitolo 1: Una notte diversa

Non ero mai stata una di quelle persone che si lasciano intimidire, ma questa nuova vita stava davvero mettendo alla prova la mia pazienza. La casa degli zii era tutto quello che avrei dovuto desiderare: pulita, ordinata, sicura. Ma mi faceva sentire soffocare. Ogni cosa era al suo posto, tranne me.

Sdraiata sul letto, guardavo il soffitto, cercando disperatamente di non pensare. Ma la mia mente non mi lasciava in pace. I ricordi dell'incidente erano sempre lì, in agguato, pronti a divorarmi. Ogni volta che chiudevo gli occhi, rivedevo i volti di mamma e papà, i loro sorrisi, e poi... il nulla.

Non ce la facevo più. Dovevo uscire, respirare, scappare almeno per un po’.

Indossai il cappotto e scivolai fuori dalla finestra, muovendomi piano per non svegliare nessuno. L’aria fredda mi colpì in faccia appena toccai terra. Mi piaceva. Era pungente, reale, diversa dal calore soffocante della casa. Camminavo senza una meta, con le mani infilate nelle tasche e lo sguardo rivolto verso l'asfalto bagnato. L’oscurità mi faceva sentire invisibile, ed era tutto ciò di cui avevo bisogno.

E poi arrivò lui.

Un’auto si fermò accanto a me. Non alzai subito lo sguardo, sperando che fosse solo qualcuno di passaggio. Ma il rumore del finestrino che si abbassava mi fece gelare il sangue.

"Ehi, ragazza sperduta, cosa pensi di fare qui da sola?"

Mi voltai lentamente, scrutando il volto del tizio al volante. Era giovane, forse poco più grande di me, ma aveva un sorriso che mi irritò all’istante. Quel tipo di sorriso che sa di arroganza, di chi pensa di poterti leggere al primo sguardo.

"Chi cazzo sei tu?" gli chiesi, con tutta l’acidità di cui ero capace.

"Nathan. Piacere," rispose, come se fosse ovvio che il suo nome dovesse interessarmi. Allungò anche una mano fuori dal finestrino, come se davvero pensasse che gliel’avrei stretta. Idiota.

"Il mio nome è Non sono cazzi tuoi. E comunque, il piacere è tutto tuo," ribattei, incrociando le braccia sul petto.

Lui sorrise, ma non era un sorriso normale. Era uno di quelli che ti fa venire voglia di prenderlo a schiaffi. "Dai, non essere così acida. Non mordiamo, da queste parti."

"Non mordete, eh? Scommetto che ci provi spesso con le ragazze così, fermandole in piena notte."

"Solo con quelle che sembrano perse," rispose, come se fosse una battuta intelligente.

Lo fissai con occhi di ghiaccio, cercando di capire cosa lo spingesse a continuare. Che cosa voleva da me? Non sembrava il solito tipo che cerca di impressionare, e questo mi infastidiva ancora di più. Sembrava che stesse giocando, e io ero la sua ultima trovata per passare la serata.

"Guarda, se stai cercando qualcuno da infastidire, ci sono molte altre strade," dissi, facendo un passo indietro.

Lui rise, ma non era una risata cattiva. "Tranquilla, non cerco guai. Solo compagnia. Tu sembri interessante."

Interessante? Stavo per mandarlo a quel paese quando notai qualcosa nel suo sguardo. Non so cosa fosse, ma mi fermò. Era come se, sotto quell’aria da stronzo, ci fosse qualcosa di... sincero.

"Se pensi che basti un sorriso e un nome per convincermi a parlarti, ti sbagli di grosso," dissi, alzando il mento con sfida.

Nathan non si scompose. "Lisa," disse all’improvviso.

Mi irrigidii. "Come...?"

"È un nome che ti starebbe bene," continuò, come se fosse del tutto normale sparare nomi a caso. "Ci ho preso?"

Mi venne voglia di negare, ma non so perché gli risposi. "Sì, mi chiamo Lisa. E ora lasciami in pace."

"Lisa," ripeté, quasi assaporandolo. "Un bel nome. Forte."

Lo fissai, cercando di capire il suo gioco. Ma lui non aggiunse altro. Rimase lì, fermo, con quel sorriso di chi sapeva di aver già vinto qualcosa, anche se io non avevo idea di cosa fosse.

Non risposi. Mi voltai e continuai a camminare, lasciandomi alle spalle quell’incontro. Eppure, mentre mi allontanavo, non riuscivo a smettere di sentire il suono del suo nome nella testa. Nathan.


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