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Küstrin, Aprile 1945


I sovietici espugnarono Stettino solo alla fine di Aprile, dopo un assedio che occupò tutto il mese di Marzo.

Lungo il corso meridionale dell'Oder, la situazione non era tanto dissimile: l'Armata Rossa s'era attestata sulla riva destra, mentre l'Heer manteneva quella sinistra e sorvegliava l'autostrada che correva dritta fino a Berlino. Dalla riva orientale si potevano vedere le alture – fortificate in quella momentanea tregua – che l'autostrada attraversava; la piana intorno, bagnata dall'Oder, era stata ridotta a un acquitrino.

Albert e Leonhard avevano abbandonato la strada da Schneidemühl qualche chilometro a Nord di Küstrin, in attesa che il fronte avanzasse. Dal loro nascondiglio a qualche chilometro dalle retrovie potevano vedere i convogli affluire a Küstrin, carichi di munizioni, e rifornire incessantemente le postazioni d'artiglieria che ammassavano proiettili su proiettili.

«Sta per succedere» disse Albert una sera prima di mettersi di guardia.

«Quanto tempo è passato da quando ci siamo incontrati, Albert?» gli chiese Leonhard rigirandosi sulla bisaccia usata a mo' di cuscino.

«Che mese era? Dicembre, Gennaio? Non ricordo, ho perso la conta dei giorni.»

«Sono passati tre mesi, Albert. Tre mesi per attraversare la Polonia.»

«Pensavi ce ne avrebbero messo di meno?»

«Sì.»

«Lo pensavo anch'io.»

«Da quanto sei in fuga, Albert?»

Weinrich alzò la testa verso occidente. Gli tremava la mascella, ma non era il freddo della sera. «A fine Giugno sarà un anno» rispose.

«Com'è successo? Sei rimasto indietro?»

L'aria si gelò per poco, prima che Albert si decidesse a parlare.

«No, è stata una mia scelta. Ho avuto paura, e sono scappato. Ci hanno detto di rimanere sul posto a morire e allora... sono fuggito, ecco.»

«E ora torni indietro...?»

«Per rivedere mia moglie, Agathe.»

Leonhard alzò la testa dal giaciglio. «Agathe?»

Albert gli si avvicinò, tirando fuori una fotografia stropicciata dalla casacca. «È bellissima, vedi? Siamo sposati da dieci anni, ormai. Lei è ancora a Berlino che mi aspetta.»

Leonhard guardò la foto con occhi diversi, poi alzò la testa a guardare in faccia Albert. Fu scosso da un singhiozzo, e un altro ancora, prima di lasciarsi andare a una debole, amara risata che presto si tramutò in tosse.

«Ma io vi conosco!» disse mettendosi a sedere. «Quella coppia dell'Adlon eravate voi. È questo che mi nascondevi? Davvero?»

Albert non capiva. Mise via la fotografia, convinto che Leonhard ridesse di lui, poi poco a poco il ricordo riaffiorò: il matrimonio rimandato per due anni, la zuffa nella sala comune dell'hotel, il lavoro perduto... i soldi del gentilissimo Leonhard.

Arrossì per la rabbia e l'imbarazzo.

«Devo mettermi di vedetta» bofonchiò.

Leonhard lo prese per il polso, e lui si voltò, sorpreso, a guardarlo.

Ricordava a malapena il volto visto di sfuggita quasi quindici anni prima, ma di una cosa era certo: quello che aveva davanti era solo il fantasma di ciò che ricordava, coi suoi capelli più radi, il suo volto squadrato, gli occhi venati di bianco, pallidi.

Leonhard gli sorrise. «Devo ringraziarti, Albert.»

«Mettiti a dormire, finché puoi.»

«Senza di te non sarei qui.»

Albert si allontanò, senza chiedere il senso di quell'ultima frase.

La scintilla dell'Adlon. CompletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora