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Berlino, Maggio 1932

«Mi aspettavo di vederti, ieri sera allo Staatstheater.»

Charles buttò giù un sorso di Martini Dry e sorrise annoiato al suo interlocutore, Philip Fitzgerald, che lo guardava con occhietti insolitamente allegri e vispi per uno che aveva appena superato la cinquantina.

«Ho poca confidenza a muovermi per Berlino da solo, Fitz.»

«Oh, ma per qualsiasi cosa basta chiedere: dall'ambasciata ti affidiamo un cicerone, se può servire.» L'uomo si strofinò i sottili baffetti neri. «In fondo... sei di famiglia.»

«Non voglio, Fitz, mi ripugna indebitarmi.»

«Suvvia, è un favore, non un prestito.»

«È la stessa cosa, in fondo.»

Per il bar risuonava un lento jazz di qualche fortunato negro fuggito dalla depressione degli States. Davanti al bancone e sotto la volta a cassettoni dorati della sala comune, i capitani d'industria, i marchesi decaduti e i ricchi turisti americani s'affollavano a creare un intenso brusio di fondo, su cui la musica improvvisava la sua melodia.

«Mi accompagni a cenare? Mi farebbe piacere sapere come sta tuo padre.»

«Oh, il baronetto è... ancora un uomo d'acciaio. Certo, non lo vedo da una settimana ormai. Forse la mia partenza gli avrà messo in corpo un po' di fiacca, penso.»

Fitzgerald bevve anche lui il suo Martini Dry e annuì a labbra serrate, tacendo sulla fitta corrispondenza telegrafica che teneva da sempre con Sir Arthur Acton, in cui sicuramente s'era accennato a quel figlio pervertito e degenerato appena scappato di casa. O almeno, così immaginava Charles.

«Insisto. Pago io, ovviamente.»

«Non azzardarti, Fitz.»

«Insisto, ho detto.»

«Di questo passo vi avrò sulla coscienza fino alla tomba, Sir.»

L'uomo in tutta risposta ridacchiò, quindi s'aprì una strada fendendo la folla accalcata a ciarlare. La luce delle numerose lampade a gas si rifletteva sui neri elefanti lucidi che sorvegliavano la sala all'ombra di una pagoda — una bizzarra fontana donata da un qualche maharaja non molto tempo prima — e riverberava dall'acqua cristallina fino alle volte barocche. Trovarono posto nel ristorante numero 3, giusto in tempo per evitare a Charles la nausea di tutta quella terribile folla. «Finalmente un po' di tranquillità» bisbigliò seguendo il Maître de Salle. Per poco non urtò un militare, o così gli parve, e tanto bastò a fargli sfuggire un silenzioso "Cristo sanguigno!"

«Oh, caro Leo, buonasera! Vuoi unirti a noi per cena?» lo salutò Fitzgerald.

Il giovane nel pastrano grigio antracite si voltò e annuì al dignitario sorridendo. Con un silenzioso cenno del capo salutò anche Charles. «Volentieri, Fitz. È sempre un piacere essere tuo ospite» rispose con una certa lentezza melliflua, in un inglese venato dell'accento della Pomerania. Posava ogni parola con l'accuratezza d'un architetto dei tempi andati.

Philip si passò un dito sull'alta stempiatura, sistemandosi i capelli neri tirati dalla cera. Doveva aver subito percepito, tra i due, una certa... tensione, o una qualche forma di magnetismo, anche se sicuramente non gli sfuggiva la natura dei due poli.

«Immagino non vi conosciate, quindi permettetemi di fare le dovute presentazioni: Sir Leonhard, avete davanti a voi Sir Charles Acton, futuro baronetto di Hougcross. Sir Charles, vi presento Sir Leonhard Von Hinten, baronetto deca... Oh, sto mancando di rispetto. Perdonami Leo, non era mia intenzione.»

La scintilla dell'Adlon. CompletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora