Capitolo ventiduesimo

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Altri due mesi passarono in fretta e l'estate era ormai alle porte, come anche l'avvicinarsi del ventiseiesimo compleanno di Vincent. Il padrone di casa si era mostrato sempre più inquieto, giorno dopo giorno, con il passare del tempo, come se fosse in attesa di qualcosa che però non desiderasse affatto. L'uomo guardava spesso dalla finestra: osservando per lo più il cancello d'ingresso alla sua proprietà e la strada che vi conduceva; qualsiasi tempo vi fosse e in diverse ore del giorno, comportandosi come se fosse braccato nella sua stessa dimora. Anche quello stesso pomeriggio non si stava dedicando ad altro affare e si trovava dinanzi ad una finestra, irrequieto a battere le dita rapide sul davanzale, mentre il suo sguardo freddo scrutava lontano. Sophie si trovava nel suo stesso salotto da una buona mezz'ora e, mentre voltava le pagine di un libro dalla copertina vermiglia, gli dava alcune discrete occhiate per cercare di comprendere il motivo di quello strano comportamento. Osservò il suo volto stanco, ed era certa che nemmeno la notte gli stesse dando abbastanza conforto, in quanto era sicura di averlo sentito più volte vagare per le stanze, in particolare quelle che erano state chiuse, nelle ore più tarde, senza una meta che sembrava ben precisa.

Il sole gli splendeva comunque in viso dai vetri e la giornata esterna si mostrava come l'opposto dell'uomo che vi affacciava; la temperatura era calda e dominata da una terribile umidità che a giorni alterni portava la pioggia, senza mai però raffreddare troppo l'ambiente. Le mura domestiche si presentavano come il luogo migliore in cui nascondersi.

«Signor Vincent» disse Sophie, che però dovette richiamarlo per altre due volte per attirare la sua attenzione , «Cosa vi causa tanta pena? Sedetevi un attimo!»

L'uomo le diede un'occhiata, la osservò mentre lo fissava interrogativa e con il libro chiuso e appoggiato sulle ginocchia. Diede un ultimo colpetto con le dita al davanzale e poi si allontanò dalla finestra andando verso la poltrona che si trovava di fronte alla ragazza, vi si appoggiò col gomito senza sedersi, e stette ancora per qualche istante in silenzio.

«Ah, Sophie!» sospirò dopo un poco, «Sto patendo il supplizio dell'attesa alla gogna!»

«Che intendete?» osservò la ragazza.

«L'attesa, Sophie! L'attesa!» ribadì ancora vago, «Alcune notizie arrivano sempre quando meno le vuoi, e meno le vuoi e più sono perfide. Devo andare via per qualche ora, ma tornerò prima che faccia buio.» aggiunse mentre con fare distratto si grattava un orecchio. Sophie rimase a fissarlo incuriosita.

«Dovete andare di nuovo? Per fare cosa?»

«Devo parlare con un notaio», rispose secco Vincent, «E sapere alcune cose sui miei beni.» Dopodiché si mise a posto il colletto dell'abito, in un'azione che pareva più di sopravvivenza respiratoria che di vanità, e uscì dalla stanza senza altre spiegazioni. Sophie si alzò in piedi e mosse un passo in avanti come per seguirlo, ma poi si bloccò lì sapendo che sarebbe stato un gesto vano. Andò invece alla finestra dove stette in attesa di vederlo sbucare: dopo una manciata di minuti, infatti, lo vide allontanarsi a piedi uscendo dal cancello, con in testa un cappello e nella mano la sua preziosa valigetta in pelle. In quel modo non poté sapere se si sarebbe allontanato dal paese con un mezzo preso più avanti o se si fosse fermato nei paraggi.

La ragazza rimase lì a fissarlo finché la sua figura non scomparve del tutto dalla sua vista. Troppi misteri gli stavano girando attorno in quegli ultimi tempi e così, approfittando di quell'assenza dichiarata, decise di indagare un po'. Con un certo senso di colpa si infiltrò nella sua stanza: l'ambiente, con le tende che ancora non erano state tirate dal mattino, si mostrava buio come se fosse notte, e nell'aria vi era un pesante odore di chiuso e un altro aroma che sembrava essere un qualche incenso esotico. Sophie aprì una tenda per farsi luce e andò alla scrivania per cercare qualche documento: si mise a rovistare tra più carte lasciate ammucchiate in disordine in un angolo del tavolo, accanto agli strumenti da scrittura anch'essi sparpagliati. Una lettera in particolare, nascosta sotto ad altre, catturò la sua attenzione: quella il cui nome del mittente era "Conte Charles Harrington".

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