La Panda di Michele si arrampica a fatica sullo sterrato.
Non è la macchina che usa tutti i giorni per andare a lavoro, è la macchina da vacanza, quella che può essere deliberatamente trattata male, riempita di sporcizia, briciole, pacchetti vuoti di sigarette, magliette sudate, bottiglie d'acqua; i parafanghi possono restare polverosi per mesi, nel bagagliaio ci sono pompe da bicicletta che nessuno usa da anni, che forse nemmeno funzionano più.
Francesca stringe forte il volante e mette la seconda. Pensa che questa stessa macchina, che anni fa Michele ha comprato a sconto a poche migliaia di euro, se non l'usasse lei rimarrebbe in garage ad arrugginirsi: non ha il salvosterzo e Michele non la sa guidare. E se anche sapesse, continua a pensare, non avrebbe lo slancio per guidarla nei posti dove guida lei, per scalare i monti, passare i guadi, avventurarsi in campagne sconfinate.
L'unica volta che Francesca ha visto guidare Michele in quella macchina, per raggiungere una collina dietro l'ospedale in cui lavorano, è stata quella in cui l'hanno fatto per la prima volta.
Era una sera in cui tra loro c'erano state poche frasi e confuse, in cui avevano lasciato prevalere gli umori umidi e i sospiri: l'eccitazione da un lato, il terrore dall'altro.
Com'è levare il reggiseno ad una donna diversa da tua moglie o toccare la cinta dei pantaloni e trovare una fibbia con cui non si ha dimestichezza, ed allora arrancare, guardarsi e sorridersi imbarazzati, con la speranza che non si capisca che si è esitato?
Quella sera sia lei che Michele se l'erano chiesto, in pochi brevi secondi di lucidità; ma poi erano tornati a mordersi e a baciarsi, a cercarsi la pelle nuda sotto la camicia di lino, sotto la gonna a fiori, perchè il messaggio fosse chiaro: «Non ho cambiato idea».
Poi Francesca si era ritrovata a stringere fra le cosce un torace diverso dal solito e, stupidamente, come prima cosa aveva pensato: «Com'è sottile: non sono più abituata ad un corpo che non sia quello di mio marito».
Stavano l'uno sopra l'altra, su un sedile completamente abbassato, con i calzoni calati, la gonna sollevata, la camicia sbottonata, i capelli spettinati.
Lui si era fatto la barba giusto per lei, si era inondato di deodorante, era stato attento a non far trapelare nessuno di quegli odori sgradevoli che si emettono quando non si vuole che fottere. E l'aveva fatto così bene che, a parte il fiato corto e le pulsazioni della carotide, niente era stato in grado di tradire la sua immagine di uomo per bene, col sorriso pronto e la mano ferma, nemmeno la goccia di sudore sulle tempie, nemmeno il cazzo pronto ad entrare.Ad incontrarlo nei corridoi d'ospedale, Michele sembrava uno disposto a scopare solo per amore, all'interno di quelle quattro mura chiamate matrimonio; e Francesca aveva sempre pensato che tutto quello che avrebbe potuto uscire da lui, sarebbe stato solo e soltanto un tramite per creare vite umane: non è che poteva sprecarsi per donne con spirale, figli a carico e lunga -lunghissima- convivenza fallita alle spalle.
Ma Francesca si era sbagliata.
Su quel sedile adesso è seduto Emiliano, che guarda distratto i cartelli delle rotatorie e i fichi d'india ai bordi della strada.
Francesca l'osserva e pensa a come sia ancora maledettamente bello.Maledettamente, sì, perchè tutto ciò che riguarda quell'uomo è una maledizione per lei.
Lo è stata dal giorno in cui si sono conosciuti, dalle prime sillabe che si sono rivolti, da quella sera in San Frediano in cui una Francesca poco più che ventenne ha messo piede in quell'appartamento minuscolo. Francesca ricorda tutto: le scale ripide e strette, l'odore d'erba misto a quello di sudore, un mare di persone strane, forse fatte, forse ubriache, tutte ammassate in quelle quattro stanze, in un terrazzo con piante rampicanti esanimi, insieme a decine di paia di scarpe ammucchiate in un angolo e a dozzine di magneti su un frigorifero bianco, trattenenti foto personali, dediche private, frammenti di una famiglia, di un gruppo di persone che si volevano bene, o forse no, messe lì in bella vista, pronte ad accogliere branchi di sconosciuti disinteressati, solo bisognosi di un po' di divertimento.
Ma soprattutto ricorda se stessa, fuori luogo in qualsiasi situazione.
Si rivede avanzare incerta, con un bicchiere di plastica in mano, a disagio fra persone che non conosce.
Si rivede sporgere la testa, titubante, in ogni stanza: in un bagno con un lavandino pieno di flaconi e farmaci, in una lavanderia sommersa da panni sporchi, in un ripostiglio con mattonelle di granito sbeccate, sconnesse.
Poi scorge una porta socchiusa, in fondo al corridoio e la apre lentamente.
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Famiglia tradizionale
General FictionCome ogni estate, la famiglia Russo è pronta a partire per le vacanze. Ha già prenotato i biglietti per la traversata, ha già saldato il conto con la solita agenzia, ha già preparato le valigie che giacciono, da diverse settimane, ai piedi del letto...